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MODU: QUANTO VALE LA VITA DI UN OPERAIO?

A due anni dalla fine dei processi per l’omicidio del giovane operaio di origine senegalese Mohamed Modu Sow, emergono nuovi particolari sulla vicenda. Il padrone e il capo officina della fabbrica dove Modu lavorava e dalla quale egli scomparve nel lontano 2001, già assolti dall’accusa di omicidio, sono stati arrestati per appartenenza alla ‘ndrangheta.
Modu era giunto in Italia nel 1998 e inizialmente era andato ad abitare col fratello a Cavaglio d’Agogna. Si era quindi trasferito a Invorio perché aveva trovato lavoro in una pulitura di ottone, la Pulimetal di Paruzzaro, una di quelle fabbrichette che, prima della grande crisi, spuntavano come funghi nel sottobosco del distretto della rubinetteria. Un lavoro duro e malsano, insieme alla fonderia il peggiore del ciclo del rubinetto, sfruttato e anche malpagato, dal momento che Sow era convinto che dalla sua busta paga mancassero dei soldi. Così aveva deciso di andarsene non prima di farsi restituire dal padrone il salario mancante. Così il 16 maggio 2001, Sow si era recato al lavoro fermo nei suoi propositi. Da quel giorno, di lui non ci sono state più notizie. Svanito nel nulla. Svaporato.
Il suo corpo non è mai stato trovato, ma diversi indizi portano alla conclusione che sia stato barbaramente ammazzato, come una bestia, come «un cinghiale», l’agghiacciante parola che gli investigatori hanno intercettato in una conversazione tra gli imputati del suo omicidio. Infatti, nel capannone di Parruzzaro, gli investigatori dei RIS di Parma hanno trovato la prova di uno schizzo di sangue sul posto di lavoro di Modu. Poi, una sua lettera di dimissioni, saltata fuori dopo la scomparsa, è risultata chiaramente falsa. Il passaporto era rimasto a casa, a smentire le voci che erano state fatte circolare ad arte di un suo improbabile rimpatrio. I lavoratori senegalesi, numerosi nelle fabbriche della zona e apprezzati dai padroncini del rubinetto perché «lavorano come negri», scesero rumorosamente in piazza, coinvolsero gli organi d’informazione e impedirono che, sulla scomparsa di Modu, scendesse il più gelido e il più ipocrita dei silenzi. Loro sapevano che quel giorno lui era andato al lavoro per chiudere un rapporto fatto di soprusi e di sfruttamento e per esigere quel salario che ingiustamente non gli era stato corrisposto e che dalla Pulimetal non aveva più fatto ritorno.
Così la vicenda di Sow non è stata inghiottita dal nulla in cui la si voleva rinchiudere. Tuttavia, ha dovuto addentrarsi nel labirinto della giustizia italiana. Le indagini sono iniziate con mesi di ritardo. Poi il calvario da un tribunale all’altro, anno dopo anno, da una corte d’appello a una corte di cassazione, in una girandola di assoluzioni, condanne e annullamenti con un esito finale di bruciante delusione e ingiustizia. Infatti, al termine ben di sette processi (sette!), gli imputati, i calabresi Domenico Rettura, titolare della piccola pulitura, e il suo capo officina Rocco Fedele, che si pensa siano stati gli ultimi a vedere Sow vivo, sono stati assolti per insufficienza di prove. Nel 2014, la Corte d’Appello di Torino, chiamata a giudicare la vicenda, aveva confermato la sentenza di proscioglimento già emessa agli inizi, nel 2005, dall’Assise di Novara. I giudici di Novara avevano concluso che «il fatto non sussiste». Invece nel primo Appello, Rettura e Fedele erano stati condannati a 16 anni per omicidio preterintenzionale, sentenza che la Cassazione aveva poi annullato nel giugno 2010. Un anno dopo, si era celebrato il secondo Appello, che di nuovo aveva condannato i due imputati a 14 anni di prigione. La sentenza è stata di nuovo sciacquata nelle acque del biondo Tevere nel 2013, poi in quelle del Po, fino a giungere al giudizio conclusivo di assoluzione per i due imputati il 24 agosto 2015. Secondo i giudici, Modu sarebbe stato vittima di una «morte accidentale». Quanto all’occultamento del cadavere, se mai ci fosse stato, il reato risulta ormai prescritto… Nel frattempo, in Senegal, nel 2003, stroncato dal dolore, se n’era andato anche il padre di Modu.
Il 12 dicembre scorso, a Taurianova. Fedele e Rettura, che nel frattempo, dopo la chiusura della Pulimetal, erano tornati nella loro città e si erano dati all’edilizia, sono stati arrestati in una maxi operazione dell’Antimafia di Reggio Calabria contro la ‘ndrangheta con l’accusa di aver fiancheggiato una cosca malavitosa. Inutile dire che questo arresto getta una nuova e ancora più sinistra luce sull’omicidio del 2001 alla Pulimetal di Parruzzaro.
In questi tempi, di analfabetismo civile e di razzismo strisciante, che ha ormai contaminato ampie fette della classe operaia e della parte più povera della popolazione, il caso Sow fa vedere chi in tutti questi anni si è veramente arricchito sulla pelle degli operai immigrati. Purtroppo, quello di Sow non è l’unico caso di lavoratori immigrati finiti tragicamente. Nel biellese, il 24 novembre 2009, fu ucciso il muratore senegalese Ibrahim M’Bodj: anche lui reclamava dal suo padrone il salario non pagato. Anche le circostanze della morte dell’operaio cingalese Singaraja Sinnathurat, trovato senza vita il 2 ottobre 2010 a Ponzone, destarono sospetti. Nello stesso anno, strani casi di “suicidi” avvenuti in aziende agricole di Galliate e di Brescia provocarono la presa di posizione addirittura del console indiano. Insomma, vale la pena di chiedersi quanto vale la vita di un operaio immigrato? Quanto vale la vita di un operaio? Quanto vale la vita di un uomo?

Pubblicazione non periodica a cura di ass. culturale Proposta Comunista - Maggiora (NO) - CF e PIVA 91017170035
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