La giunta di destra della Regione Piemonte ha deciso di propagandare il Giorno del ricordo con un manifesto-locandina che “ricorda” anche le grafiche della repubblica di Salò (un doppio ricordo, dunque): ombre fosche e rosso violento; comunisti armati, enormi e mostruosi con inquietanti stelloni rossi infuocati in testa; piccole, innocenti vittime in… giacca e cravatta che fuggono terrorizzate. La provocazione non è nuova, né originale (ricordate i manifesti elettorali della DC in piena guerra fredda?), era prevedibile e non sarà certamente l’ultima. In realtà, la volgare retorica del manifesto, e la violenta falsificazione storica che porta con sé, sono gli aspetti più appariscenti ma meno importanti di una manovra politica rozza ma ben più ambiziosa i cui obiettivi vanno ben al di là delle polemiche di questi giorni. Per capire meglio, ne ricostruiamo il backstage che vede all’origine due insospettabili espressioni della società civile e dell’attività artistica piemontesi: la Fondazione Circolo dei lettori e l’Anonima fumetti di Torino. Non sappiamo fino a che punto questi due sodalizi siano soddisfatti del loro coinvolgimento in questa squallida vicenda, ma il modo con cui sono stati strumentalizzati dalla giunta regionale di destra è un esempio da manuale di come agiscono gli apprendisti stregoni dell’intolleranza e del totalitarismo del XXI secolo.
La Fondazione Circolo dei lettori, con sedi a Torino, Rivoli e Novara, allo scopo «di approfondire la conoscenza e la comprensione dei fenomeni storici che ci hanno preceduto [?] e che costituiscono gli strati di coscienza su cui costruiamo il nostro presente» ha chiesto alla Regione Piemonte un finanziamento di 25.600 euro per realizzare il progetto “Identità oltre confine” di cui appunto fanno parte anche le iniziative previste per il Giorno del ricordo 2022. Tra queste, ci sono una proiezione su Fertilia di Alghero (una delle colonie fasciste delle famose bonifiche, insomma una delle presunte “cose buone” di Mussolini, dopo la guerra riservata agli esuli istriani) e una bella conferenza sull’impresa squadristica dei legionari di Fiume nel 1919-1920 che potrebbe servire a ricordare come, secondo nazionalisti e fascisti di ieri e di oggi, bisogna risolvere le controversie internazionali. Vorremmo almeno obiettare che, se si parla oggi, in un mondo globalizzato, di «identità oltre confine», bisognerebbe estendere il discorso a tutte le identità offese tenendo conto che, dopo la catastrofe di una guerra voluta dall’Italia fascista e dalla Germania nazista, solo in ambito europeo, profughi ed esuli furono decine di milioni. D’altro canto, le specificità linguistiche e culturali degli italiani giuliani, istriani e dalmati sono proprio legate a un secolare processo di contaminazione e di quotidiano scambio con le popolazioni slave, austro-tedesche e magiare, da tempi antichi insediate su quei territori. Non si può certo negare che uno dei massimi esponenti del Novecento letterario Hector Schmitz, alias Italo Svevo, ebreo, tedesco di origine e italiano irredentista per scelta, vissuto in un porto imperiale dove non mancavano corposi insediamenti slavi, colonie di greci, inglesi e altre minoranze, sia stato proprio uno dei prodotti di questa multiculturalità e di questa identità composita, ferocemente devastate prima dal sanguinario squadrismo di confine, poi da venti anni di amministrazione fascista e di condanne alla pena capitale decretate dal tribunale speciale, infine dall’occupazione militare nazifascista. Non si capisce quale approfondimento possa portare un concetto di identità «oltre i confini», che non affronti questi nodi irrinunciabili. Non potrà che aprire le porte alle scorie di un’ideologia identitaria decrepita e legnosa, per sua natura ancora legata al concetto ottocentesco di nazione e allo ius sanguinis o peggio al nazionalismo, all’irredentismo o addirittura a lunari pretese revansciste. Il rischio è di passare da un circolo di lettori a un circolo vizioso purtroppo già visto, al termine del quale ci sono solo le tragedie del trascorso secolo breve.
L’Anonima fumetti di Torino ha invece curato la grafica del manifesto-locandina ed è riuscita ad entrare perfettamente in sintonia con il committente, l’assessore di Fardelli d’Italia, Marrone. Infatti, egli ha dichiarato soddisfatto che il manifesto «comunica finalmente in modo efficace anche alle nuove generazioni il senso drammatico delle Foibe e dell'esilio giuliano dalmata.» In realtà, anche qui, la questione è un po’ più complicata, a partire dal retroscena di quel manifesto che rimanda a un progetto del 2018, sostenuto, tra gli altri, dal Comitato regionale della Resistenza, dall’Istituto storico della Resistenza di Torino (Istoreto) e dal Museo della Resistenza e della Deportazione. Nel 2019, fu presentato il frutto del lavoro svolto: la graphic novel Anime in transito con la sceneggiatura di Nico Vassallo e i disegni di Marcello Restaldi. Il fumetto racconta la storia d’amore di due adolescenti polesani, Anna e Giulio, poi esulati a Torino, sullo sfondo degli avvenimenti compresi tra l’immediato dopoguerra e gli anni del boom. In una tavola del racconto compaiono due partigiani con la stella rossa sul cappello. Il loro aspetto, in una citazione successiva, si incupisce e si disumanizza fino ad assumere, in un incubo di Anna, lineamenti grotteschi e mostruosi. Con un ulteriore forte caricatura espressionistica, questo incubo partorisce un altro caramogio: il disegno dei neri mostri rappresentanti nel manifesto del Giorno del ricordo. La distorsione è evidente sia perché il medium semplifica e amplifica l’aspetto retorico sia perché il messaggio perde di ogni complessità imponendo, su di una questione, come dicono i politicanti, “divisiva”, una lettura politica a senso unico, un senso unico falso nel quale non c’è luce e dal quale non c’è via di uscita. Sullo stravolgimento operato, vale la pena di riportare il commento della stessa Anonima fumetti sul significato profondo della graphic novel all’origine della questione: «È impressionante come una vicenda del Dopoguerra si sta drammaticamente riproponendo nei nostri tempi, con etnie diverse ma con le stesse speranze e sofferenze. Basti pensare all’esodo dall’Africa in Europa o delle famiglie messicane negli Usa, con separazioni tra parenti, tra genitori e figli. Così come è di grande attualità la solidarietà che vasti strati di popolazione (e delle chiese) riservano agli “stranieri”.» Come si può costatare, lo scarto è abissale. Qui si parlano proprio due linguaggi incompatibili tra loro.
Un ragionamento a parte merita la scelta del mezzo di comunicazione. Il fumetto rappresenta in Italia un mercato di nove milioni di consumatori. Inoltre, è ritenuto uno dei media più amato dai giovani. Insomma, una ghiotta preda che le destre vecchie o nuove, più o meno fasciste non vogliono lasciarsi sfuggire. Da qui l’attenzione particolare all’immagine coordinata, la passione di Casapound per il futurismo, la cura maniacale degli aspetti grafici e la presentazione, alcuni anni fa, da parte di Fardelli d’Italia e di Lealtà e azione della prima graphic novel fascista su Sergio Ramelli.
Lo sdegno e le giuste reazioni a questa indecorosa strumentalizzazione hanno offerto a Marrone il destro (si fa per dire…) per manifestare la sua brutale intolleranza e per attaccare ancora una volta e violentemente la sua “bestia rossa” prediletta, lo storico e ricercatore Eric Gobetti, il quale ha avuto l’imperdonabile torto di esprimere la sua opinione di studioso e di cittadino. L’esponente di Fardelli d’Italia, attuale assessore all’Emigrazione, ma in predicato di “emigrare” nel più appetitoso assessorato alla Cultura, è evidentemente in vena di protagonismi in un momento di grave crisi, di vendette, coltellate alla schiena e rimpasti all’interno delle destre piemontesi. Così Marrone non ha risparmiato nemmeno l’Istoreto, bollando ogni idea contraria alla sua col mantra del negazionismo (disciplina inventata dai fascisti nella quale essi hanno dimostrato una rara maestria). Che l’obiettivo sia quello di tappare la bocca a ogni voce dissonante e sgradita e imporre una rilettura faziosa di stampo fascista del passato è nei fatti: ormai, la regione non vuole finanziare più le associazioni resistenziali se non attraverso la presentazione di singoli progetti. A parte la fuga dalla responsabilità di un ente che ha l’obbligo di tutelare un patrimonio storico, culturale e morale fondante della repubblica, della nostra convivenza civile e dello stesso consiglio regionale come quello della lotta di Liberazione, s’impone una domanda: e se i progetti non fossero graditi? se chi decide non ha mai fatto in fondo i conti con una storia che ignora, quella vera, documentata e non quella a senso unico distorta per miserabili finalità di infima propaganda?