Articolo di Marco Travaglini originariamente pubblicato su www.laportadivetro.com (questo il link diretto).
Venerdì 25 ottobre, con la presentazione della una nuova edizione de “Il paese del pane bianco” di Paolo Bologna, presso la Biblioteca Contini di Domodossola, libro dedicato all’ospitalità svizzera ai bambini della Repubblica dell’Ossola, di cui ci parla Marco Travaglini, e la presentazione del libro “Quarante jours de liberté. Histoire de la république d’Ossola” di Jean-Noël Wetterwald e del cortometraggio “I bambini del pane bianco” di Davide Casarotti, si sono avviate a chiusura le celebrazioni dell'80° anniversario della Repubblica dell'Ossola.
Il ritorno della memoria ai quei giorni del '44, è cominciato il 10 settembre scorso, quando dal balcone del municipio di Domodossola sono stati esposti i drappi con i colori delle formazioni partigiane della val d’Ossola: verde per le divisioni Valdossola, Beltrami e Piave, rosso per la divisione Garibaldi e Redi e blu per la Valtoce. Srotolati dal sindaco Lucio Pizzi, che aveva al suo fianco i familiari dello storico Pierantonio Ragozza, recentemente scomparso, si è rivelato come nelle intenzioni un gesto simbolico di grande impatto per la storia Repubblica partigiana dell’Ossola, la più nota e importante dei territori liberi durante la lotta di Liberazione in Italia.
Nella circostanza, il primo cittadino di Domodossola ha pronunciato parole molto chiare: “Vogliamo ricordare l’esperienza di autogoverno dei 40 giorni di libertà che valse una medaglia d’oro al valore militare, ribadendo che quei valori fondanti sono vivi più che mai. Per questo voglio riaffermare chiaramente lo spirito che ci ha guidati: noi siamo antifascisti, Domodossola e il territorio sono antifascisti, ci riconosciamo nel valore della Resistenza e non siamo disponibili ad accettare alcun tentativo di revisionismo”.
"Nel '44 abitavamo alla Mizzoccola, un mio fratello era in guerra, mia mamma che era rimasta vedova quando non avevo ancora un anno doveva badare alle due sorelle più grandi, a me che avevo 10 anni, a mia sorellina… Al collegio Rosmini ci hanno messo il cartellino poi in treno a Briga. Sul treno le crocerossine mi hanno dato qualcosa da mangiare, pane e latte, e per paura di restare senza si cercava di nascondere il pane in tasca. A Briga ci hanno divisi, mio cugino è andato nel Ticino, io e mia sorella a Zurigo dove siamo stati 40 giorni… Siamo arrivati davanti ad una panetteria dove c'era esposto il pane bianco che non avevamo mai visto e dei dolci, siamo stati incollati col naso ai vetri davanti a quel negozio, il padrone dentro ha capito e ci ha fatto entrare. Ci ha dato pane, pezzi di dolce: abbiamo mangiato tanto che poi siamo stati male…".
Questo brano è tratto da una delle 45 testimonianze che il giornalista e storico, nonché partigiano Paolo Bologna raccolse nel suo libro "Il paese del pane bianco", che venne pubblicato trent'anni fa dall’editore Grossi di Domodossola, in occasione del 50° anniversario della “repubblica” dell'Ossola, e ripubblicato ora in nuova edizione (Grossi, 2024), a cura di Paolo Crosa Lenz.
Nell'autunno del 1944, nel breve tempo di sei settimane, si consumò l'esperimento di autogoverno della "Giunta provvisoria di governo dell’Ossola". In quei “quaranta giorni di libertà” una intera zona che si estendeva per circa 1.600 chilometri quadrati, con una popolazione intorno ai 75.000 abitanti e capoluogo Domodossola, venne completamente gestito e governato dai partigiani. L’attività della Giunta provvisoria di governo andò ben oltre l’ordinaria amministrazione, destando l’attenzione della stampa e dell’opinione pubblica internazionale, e venne ricordata per lo spirito democratico e profondamente legalitario che la caratterizzò. Il territorio liberato nel settembre di quell'anno venne però riconquistato dai nazifascisti nel mese di ottobre. In quei giorni caotici si temettero rappresaglie sui civili e i comandi partigiani, in collaborazione con le autorità della vicina Svizzera, organizzarono una vera e propria operazione umanitaria, che portò oltre confine circa 2500 bambini italiani dai 4 ai 14 anni, accolti nella Confederazione Elvetica da centinaia di famiglie come fossero loro figli.
Così la vicina Svizzera offrì rifugio anche a migliaia di persone tra combattenti e popolazione civile, confermando la sua antica tradizione di ospitalità. Ne "Il paese del pane bianco", Paolo Bologna raccolse le testimonianze dei più piccoli, “alcune ingenue, tutte toccanti” che rappresentarono una sorta di sintesi dell’esperienza che quei bambini profughi vissero del 1944. Ogni testimonianza, ogni ricordo è parte di un mosaico dove prevale il senso dell’amicizia e della riconoscenza nei confronti delle famiglie elvetiche che diedero loro un tetto, di che sfamarsi e il calore della solidarietà umana. Un dono straordinario che rileggendo ora quelle storie, in un mondo dove i valori sembrano rovesciati, assume ancor più un valore, dal quale trarre motivo di riflessione.
Per decenni quei bambini, diventati adulti, mantennero con le famiglie “affidatarie” un legame affettivo. Settantasette anni dopo, sfogliando le pagine di quel libro, guardando le foto in bianco e nero, leggendo i commenti, lo stupore, le speranze di quei bambini ci si dovrebbe chiedere se quella vicenda non possa essere assunta a modello di accoglienza ai giorni nostri, quando le cronache ci raccontano di migliaia di minori che cercano rifugio sulle nostre coste, in fuga da guerre, violenze, fame e carestie. Non dovremmo dimenticare che siamo stati un popolo di migranti, ma spesso facciamo finta di non ricordarcelo. Così si sente dire “rimandiamoli indietro!”, “affondiamo i barconi!”, “come può una madre affrontare un viaggio così con dei bambini!”. Parole che testimoniano l’incapacità di capire la profondità delle tragedie che si sono lasciati alle spalle. Dimenticando quando altri seppero accoglierci, pur senza essere obbligati a farlo. Rileggere il bel libro di Paolo Bologna aiuterebbe se non altro a capire quello che accadde in quel lontano 1944 e magari a riflettere un poco di più su ciò che ci accade intorno.