Abigaille Zanetta nacque a Suno Novarese il 18 maggio 1875 dal notaio Bartolomeo Zanetta, originario di Maggiora, e da Filomena Neri di Varallo Sesia. Il padre, dal 1867 segretario comunale a Suno e poi anche pretore mandamentale a Momo, era un libero spirito garibaldino e un appassionato archeologo, la cui opera fu determinante sia nell’allestimento nel 1875 del Museo Patrio di Suno sia negli studi di Giuseppe Ravizza. La madre invece era figlia primogenita di una famiglia valsesiana benestante che possedeva diverse attività imprenditoriali tra cui una filanda e fornaci di calce e laterizi. Filomena morì nel dicembre 1884, quando Abigaille aveva nove anni e la sorella Erminia tre di più.
Fu forse la madre, donna di saldi principi religiosi, a pensare per la secondogenita il nome della saggia e bellissima compagna dello stolto Nabal, divenuta poi moglie di re David, le cui vicende sono narrate nel Libro di Samuele I. Abigaille, per tutti affettuosamente “Ille”, frequentò la scuola elementare del paese (allora, oltre ai normali corsi maschile, femminile, vi erano la scuola serale per gli adulti e quella festiva per le donne) a diretto contatto con la realtà sociale dei contadini.
Suno viveva in quegli anni una fase di sviluppo e di profonde trasformazioni sociali. La popolazione era in rapida crescita e raggiungeva nel 1871 i 3300 abitanti. Il comune, per far fronte ai buchi di bilancio, aveva venduto le proprietà terriere dividendole in piccoli lotti tra i contadini poveri a cui aveva concesso particolari agevolazioni per i pagamenti. Queste terre erano in buona parte gerbidi e incolti e i nuovi proprietari s’impegnarono in un durissimo e ingrato lavoro per dissodarle e renderle produttive. Accanto a queste piccole proprietà rimanevano comunque ancora vasti appezzamenti che appartenevano ai Borromeo e all’Ospedale Maggiore di Novara. L’arrivo della ferrovia aveva innescato nel notabilato locale un prurito di progresso e un desiderio di ammodernare un paese che stava ancora uscendo da una situazione di arretratezza sociale in cui non difettavano residui e appendizi di chiara natura feudale.
Per quanto i liberali progressisti avessero pensato all’istituzione di una società di mutuo soccorso, solo nel 1891 troviamo la testimonianza dell’attività di una Società Cooperativa di Consumo di cui parla Salvatore Fenicia nel suo fondamentale scritto del 1901 “La cooperazione in Piemonte”. Dunque, durante l’infanzia e l’adolescenza trascorsa a Suno, Ille non ebbe rapporti col movimento socialista. Infatti, il socialismo nel centro agricolo piemontese si affermò più tardi, dopo la sua partenza, dal 1902, quando sorsero prima la Lega dei Lavoratori della Terra e la Sezione Socialista e poi il Circolo Operaio Agricolo “Unione e Fratellanza”. Nel giugno 1902, ci furono i primi socialisti eletti nel Consiglio Comunale: Giuseppe Reggiore, Pietro Visconti, Genesio Mazzola e Carlo Foradini, questi ultimi della frazione della Baraggia.
“Ille” seguì le orme della sorella Erminia dedicandosi agli studi magistrali. Il periodo scolastico richiese alle due ragazze un forte impegno personale, senso di responsabilità, molti sacrifici e anche la necessità di contrarre debiti che poi, piano piano, restituirono quando iniziarono a lavorare.
Abigaille, nel 1891, frequenta il Convitto Scuola Normale di Vercelli, dove si era già diplomata la sorella. Completati gli studi, lavora per due anni all’asilo di Maggiora. Dal 1894 al 1898, insegna a Torino nella Scuola Internazionale, un istituto privato finanziato da imprenditori italiani e stranieri, svizzeri e tedeschi, dove ha modo di entrare in contatto con una mentalità più aperta, più libera e ben diversa dal soffocante conservatorismo che attanagliava la scuola e la società umbertine. Nel 1898, si trasferisce nel Pensionato “La Printanière” (La Primaverile) sul Lago di Ginevra a Veyteaux-Chillon. Qui conosce il fuoriuscito russo conte Schulemenicov che sosteneva una scuola per emigrati italiani. Quell’anno, fu certamente uno dei più drammatici nella storia dell’emigrazione italiana, funestato dalla carestia, dalla disoccupazione e dalle notizie delle stragi effettuate dall’esercito mandato con i cannoni di Bava Beccaris contro la popolazione milanese inerme che protestava per la mancanza del pane. Nel 1899, Ille ritorna in Italia per affrontare il concorso magistrale che supera brillantemente, diventando maestra nelle Scuole Comunali di Milano dal 1 gennaio 1901.
Il lavoro ebbe sempre un’importanza capitale nella vita di Abigaille e seguitò a occupare una posizione assolutamente prioritaria anche quando lei iniziò la militanza politica e sindacale. Come era nella mentalità di quell’aristocrazia operaia che ancora durante l’epoca giolittiana costituiva il nerbo del Partito Socialista, la moralità di Ille imponeva pari impegno e rigore sia nel lavoro sia nell’attività politica: non si poteva essere buoni socialisti se non si conquistava allo stesso tempo la stima professionale e il rispetto dei compagni di lavoro. Le condizioni della categoria magistrale erano, allora come in buona parte oggi, penose. In un articolo comparso sulla “Cooperazione Italiana” del 1909, sono rappresentate da Abigaille con due rapidi tratti: da un lato, le “disastrose condizioni morali, economiche e didattiche”, che costringono le maestre “a vegetare – soprattutto fuori dai grandi centri urbani” e, dall’altro, “le troppe mummie diplomate che sono ancora incassate nelle cattedre della Scuola Normale”. Tanto per riportare qualche dato concreto, gli stipendi, sempre miserrimi, erano differenziati secondo l’anzianità e poi tra maestri e maestre e, ancora, tra chi insegnava nelle classi maschili e chi invece in quelle femminili. Per non parlare poi del trattamento pensionistico: Carlotta Clerici, tra le fondatrici della sezione femminile della Camera del Lavoro milanese e, con Argentina Altobelli, prima donna a entrare in un organo istituzionale dello stato dell’importanza del Consiglio Superiore del Lavoro, non riuscendo a campare con la pensione di direttrice delle scuole comunali, fu costretta a tornare al servizio attivo fino alla morte avvenuta a 73 anni.
Tra il 1906 e il 1909, Abigaille completa il percorso che la porterà dalle posizioni umanitarie di ispirazione religiosa al socialismo. Come per molti, il suo socialismo ebbe una fortissima impronta filantropica e altruistica, una estrema attenzione agli aspetti educativi, alla solidarietà cooperativa e mutualistica e alla laicità, una ferma coerenza di principi spinta al punto di pagare di persona.
Nel 1909, si iscrive alla gloriosa Lega per la Tutela degli Interessi Femminili, disciolta nel 1898 e poi ricostituita, dove entra in contatto e lavora con Anna Kuliscioff, Linda Malnati e Carlotta Clerici. L’anno prima si era svolto a Roma il I Congresso delle Donne italiane e la questione femminile iniziava a conquistare faticosamente i primi spazi all’interno del dibattito politico. Nello stesso anno, Ille partecipa al V Congresso Nazionale della Previdenza di Macerata, dove relaziona sulle casse di maternità, e si iscrive alla Lega delle Cooperative. Nel 1910, prende la tessera socialista, presentata dalla Kuliscioff. Entra nella redazione della “Difesa delle Lavoratrici”, è attiva nell’Università Popolare, nei Ricreatori Laici, contrapposti alle attività confessionali degli oratori, e nelle Biblioteche Popolari, è molto apprezzata come oratrice. Nel 1912, viene eletta nell’esecutivo della Camera del Lavoro milanese. Nel 1913, si tengono le prime elezioni a suffragio universale maschile e Abigaille è inviata dal partito come propagandista nel Polesine dove lavora con un giovane avvocato di cui conserverà sempre un vivo ricordo: Giacomo Matteotti.
La guerra segnò una svolta decisiva nella vita e nella militanza di Abigaille che assunse e mantenne una decisa e coerente posizione antinterventista e antimiltarista. Conobbe Mussolini e ne avversò decisamente la scelta interventista, né si confuse con l’ambiguità dei molti socialisti che, dietro alla sibillina parola d’ordine del “né aderire, né sabotare”, finirono col dare un contributo attivo allo sforzo bellico e a quella che papa Benedetto XV definì “l’inutile strage”. Ille non tollera opportunismi né mezze misure e così si dimette per protesta sia dal Consiglio dell’Università Popolare sia dalla redazione della “Difesa delle Lavoratrici” e rifiuta con gesto di grande coraggio e di aperta sfida la nomina nel Comitato di Assistenza per la Guerra di Milano. Continua la sua opposizione nell’Unione Magistrale durante il Congresso di Bologna del 1916. Nel 1917, delegata al Congresso Socialista di Roma, si schiera sulle posizioni internazionaliste di Giacinto Serrati. Tuttavia, il suo pacifismo più nobile si espleta nell’aula scolastica, dove il lavoro di Ille è saldamente guidato e ispirato dal quel concetto di “onestà pedagogica”, di cui parla in una bellissima lettera, e dalla volontà di rispettare la libertà, i livelli di coscienza e di capacità critica degli alunni.
Per tutto questo, è accusata di disfattismo, subisce intimidazioni, minacce, perquisizioni e arresti. Dall’aprile del 1918, è inviata al confino a San Demetrio Ne’ Vestini (L’Aquila). Dal maggio 1918 fino al novembre 1918, viene direttamente trasferita al carcere a San Vittore.
Purtroppo, è l’inizio di una stagione di persecuzione politica che durerà per tutto il resto della vita di Abigaille. Nel 1919, inizia l’azione squadristica a Milano. Viene assaltata e incendiata la sede dell’ “Avanti!” e le squadracce sparano contro le manifestazioni operaie. Ille, in questi difficili momenti, ricopre incarichi dirigenti nel Partito Socialista e lavora alla costruzione del Sindacato Magistrale Italiano aderente alla CGIL. Non prende parte alla frazione comunista, né alla scissione di Livorno del 1921 e si schiera con la sinistra socialista di Serrati e Maffi, divenuta poi nel 1923 frazione “terzinternazionalista”, favorevole all’unificazione col PCd’I. Si prodiga sia per la costituzione dell’Internazionale della Scuola, partecipando clandestinamente ai congressi del 1925 a Bruxelles, del 1926 a Vienna e visitando l’Unione Sovietica, sia per la diffusione dell’Esperanto, fondando il Gruppo Esperantista Proletario.
Nel mese di febbraio del 1927, si consuma la più vigliacca vendetta dei fascisti contro questa donna coraggiosa e ormai sola e indifesa. Abigaille Zanetta viene sollevata dal servizio con un provvedimento del podestà di Milano Ernesto Belloni, licenziata e privata di quel lavoro che per lei era necessario non solo come fonte di sostentamento economico ma anche come ragione di vita. Nel giugno 1927, è arrestata e tradotta a San Vittore, con l’imputazione di essere attiva nel Soccorso Rosso. Esce di prigione dopo sei terribili mesi di carcere preventivo a dicembre assolta dalle accuse ma irrimediabilmente menomata nel fisico. Da allora non si riprenderà più. Continua, per quanto le sia possibile, a prodigarsi per i pochi compagni rimasti e per le vittime politiche del fascismo, perseguitate come o più di lei. Con la nuova guerra, lascia Milano e si ritira a Borgosesia con Erminia. Qui, muore a seguito di un intervento chirurgico il 29 marzo 1945, a pochi giorni dalla Liberazione. Dopo la morte, furono aperti il suo testamento morale e quello politico, inoltrato alla direzione dell’allora PCI.
La sinistra ha un debito di memoria nei confronti di Abigaille Zanetta. A lei, Bruno Fortichiari (1892-1972), che fu compagno di lotta negli anni più difficili, e Mario Malatesta hanno dedicato un profilo biografico, dal quale sono in gran parte tratti questi appunti, edito a Milano nel 1948. Le è stata intitolata una via a Roma, nel quartiere giuliano-dalmata, a sud della città tra la Laurentina e la Cecchignola. L’INSMLI conserva il suo epistolario, raccolto dalla sorella Erminia Zanetta e ordinato nel 2002 dal dr. Carlo Milani. Si può dire che abbiano incontrato il suo nome e la sua opera gli studiosi che si sono accostati a vario titolo ai grandi temi delle origini del movimento femminile in Italia, delle lotte e dell’organizzazione della categoria magistrale e della storia della sinistra socialista e comunista milanese. Nel 2007, su di lei, si è tenuta a Milano una conferenza di Carlo Antonio Barberini, organizzata dal Centro Filippo Buonarroti e dall’Unione Femminile Nazionale.
Manca ancora uno studio d’insieme sulla sua personalità e sulla sua opera, ma soprattutto manca la capacità di riflettere sui nodi che la dura esistenza di Ille propone con forza in questi momenti difficili per il movimento operaio e per la sinistra: per esempio, il significato di una militanza, anche a livello dirigente, che trovava alimento e ragione di essere prima di tutto nel recarsi sul posto di lavoro ogni giorno e non in privilegi di ceto politico, stipendi di funzionari e incarichi istituzionali. Per esempio, il valore della coerenza e della solidarietà di classe. Per esempio, il senso profondo della laicità che certa sinistra sembra ormai aver dimenticato, gettato alle ortiche o appeso al cilicio della Binetti.
E molto altro.
[Angelo Vecchi, giugno 2009]