Ci ha lasciati il compagno partigiano Tek.
Gli ultimi momenti sono stati per lui di grande sofferenza. Lo abbiamo seguito con trepidazione. Lo dicono le statistiche. La speranza di vita si è allungata rispetto al passato, la qualità della vita è migliorata, ma la fine, gli ultimi momenti sono il più delle volte tormentosi e tanto sofferti.
Giacomino Foglia era nato a Barengo il 19 marzo 1925. Tek era il nome di battaglia nella Resistenza. Nei nostri paesi, ci si chiama per soprannome, un’abitudine che oggi si va perdendo. Siamo nell’epoca del nickname. Avere un nome diverso, essere conosciuto attraverso un nome di battaglia era un segno di rispetto, una condizione di privilegio riservata a pochi e lui, per noi tutti, era ed è il Tek. Raccontava spesso l’origine di questo nome di battaglia, ma non fu l’unico partigiano a prendere nome da un albero. Sono molti i partigiani - pianta delle nostre montagne e delle nostre pianure, presidi silenziosi, solidi e attenti delle nostre libertà. Il mitico comandante Pesgu. Ebano, Bruno Foglia di Crevacuore, caduto in combattimento. Olmo. Tabacco. Ginepro…
Il teck è un legno esotico. Ci porta nel clima misterioso dell’India e dell’Indocina. È un legno duro, tra i più duri al mondo. Sandokan di Salgari dice che è così duro da resistere alle cannonate e alle granate. Come il Tek che ha sfidato i colpi di mitraglia e le granate dei repubblichini e dei tedeschi e ha resistito. È un legno resistente: all’umidità, ai cambiamenti climatici, al freddo e al caldo, a un terreno povero di elementi nutritivi, alla fame. Quante volte Tek raccontava della fame patita, compagna inseparabile dei combattenti partigiani, appena smorzata da quel pezzo di pane che i contadini “ci obbligavano a prendere”, come egli raccontò in una delle sue tante, affascinanti affabulazioni.
Tuttavia, non dobbiamo farci l’idea che quei combattenti fossero uomini straordinari, fuori dal comune. Erano uomini coerenti. Erano ragionatori, magari di piccoli e semplici ragionamenti, fulminanti nella loro evidenza, come sapevano essere i contadini, gli operai, la povera gente. Erano uomini cauti, attenti alle conseguenze lontane delle loro scelte che, una volta maturate, venivano portate fino in fondo. Coerenza, ragionamento e cautela, doti oggi così rare.
La storia di Tek è una storia partigiana. Inizia a 19 anni, nell’autunno 1944, con la 15a Brigata Volante azzurra della II Divisione garibaldina “Redi” sul Vergante e in Valgrande. Nel gennaio 1945, scende al piano. È nell’82a Brigata Osella partecipe delle azioni più temerarie. Il 16 marzo combatte a Romagnano. Il 30 marzo è nella battaglia del cimitero a Grignasco. Il 14 aprile alla battaglia di Arona. Impegnato anche negli scontri contro i nazifascisti seguenti alla liberazione di Novara del 26 aprile. Ricordiamo che il 25 aprile fu il giorno della Liberazione ma non quello della fine della guerra.
Barengo, la sua patria, era un paese alla macchia. Prima della guerra contava circa 1500 abitanti. Dieci sono i partigiani sopravvissuti, quelli riconosciuti dall’apposita Commissione lombarda, il che significa che i soli combattenti furono molti di più. Quattro furono i caduti: Carmelo Ardizzoia, Amedeo Daffara, Maggiorino Ortaldi ed Eugenio Rozzati. Quattro i morti nelle guerre volute dal duce e dal re: Gaetano Beria, Francesco Bovio, Leonardo Pogliotti e Francesco Rho. Sei i civili massacrati dalla ferocia fascista e nazista: il primo Antonio Bensi nel 1922; gli altri, Carlo Boniperti, Francesco Donna, Nino Fenoglio, Oreste Frattini, Vittorino Gramoni, nel 1944 e 1945.
Fu un tributo di sangue enorme pagato dal paese.
Fu proprio Tek, dopo anni che non si ricordavano questi martiri, a volerne la celebrazione lo scorso 26 luglio 2015.
Barengo: qui scendono i nervi della Valsesia, in questa terra che Tek conosceva profondamente, che amava e che aveva difeso. Dal Rosa, le acque dei ghiacciai generano il riso. Dalle colline moreniche scavate nei millenni deriva il vino. Dove, se non qui, si può parlare di Valsesia? E dove è l’onore della Valsesia? È una domanda che proprio in questi giorni ci poniamo nel leggere i giornali, nel seguire certe cronache televisive oppure il caotico coacervo di pareri che circolano in rete. L’onore della Valsesia è forse negli eredi – ma nella nostra lingua c’è una parola più precisa che è “epigoni”, cioè i discepoli decadenti e grotteschi – dei repubblichini? Coloro che tanto bene hanno fatto alla Valsesia sono forse gli eredi degli assassini della Tagliamento o qualche scolaretto dei Pisanò?
No, l’onore della Valsesia è qui, in centinaia, in migliaia di uomini come Tek. L’onore della Valsesia è nei suoi partigiani. Gli ultimi ci stanno lasciando, è un fatto naturale e inevitabile. Ci si sentiva più sicuri coi vecchi partigiani, con le spalle protette. Tuttavia, andandosene, essi ci lasciano una sponda ancora più certa e salda che è l’orgoglio e la fierezza di averli conosciuti e di averne condiviso gli ideali nella lotta senza fine per la libertà.
11 giugno 2016