Paola Mastrocola, Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di non studiare -
Osannato dal pedagogo più amato dal partito dell’amore Giorgio Israel e confortato da un immediato successo di vendite – che conferma ancora una volta come in Italia si continui a leggere poco e soprattutto malamente – è in libreria Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di non studiare. Più che un saggio pare un romanzetto. La protagonista, una matura professoressa di un liceo torinese, vagheggia una specie di scuola a tre teste come il mitologico Cerbero: una per i futuri manovali, un’altra per la massa digitalizzata piuttosto rincoglionita e un’altra per i pochissimi che oggi vogliono studiare e domani comandare.
Sette anni dopo La scuola raccontata al mio cane, la prof Mastrocola torna dunque a dimenarsi sui problemi della scuola italiana. Del povero Perry Bau, l’uditore canino di quel primo libro, non si ha notizia. Il tapino dev’essere stato annientato dall’ingrata fatica di far da cavia a quel groviglio inestricabile di parole stampate. Il nuovo titolo promette meglio. Non sottopone a prove crudeli il migliore amico dell’uomo e alimenta nel lettore una speranza: quella di non leggere più un libro simile il cui unico effetto è aggiungere confusione e noia a una situazione già caotica, penosa e soprattutto tragica come quella della scuola nell’era Tremonti-Gelmini.
Scrive la prof Mastrocola che “oggi l’ideologia è morta, lo sappiamo. Non è più questione di destra e di sinistra. Si è imposto però un certo clima, un’impalpabile atmosfera fatta di opinioni diffuse, luoghi comuni e un moralismo perbenista-progressista”, “qualcosa di meno” di un’ideologia, più simile a “un’aria di sinistra”, insomma siamo al solito gassoso e perciò impalpabile complotto comunista. Commentar non è mestieri e il lettore avveduto troverà nel suo cosiddetto saggio non pochi passaggi di alta cultura, tali da far tremare le vene dei polsi e per la loro assoluta originalità e per il loro alato anticonformismo e per le proposte di disarmante semplicità ed efficacia. La malinconica massificazione che opprime i giovani di oggi? “Bastava riempirli di latino a partire dai dodici anni” e sarebbero stati tutti più felici e consapevoli! La “legge non scritta ma sacrosanta: che tutti possono intervenire, sempre e dovunque” sui media? Per fortuna, “attualmente si salvano solo i telegiornali” come quelli di Minzolini e Fede! La blasfema desacralizzazione delle librerie, della scuola e addirittura della chiesa? Ne è chiaro segno il fatto che “a messa per esempio abbiamo iniziato a parlare in italiano e non più in latino, e a cantare con la chitarra invece di suonare l’organo”! E pensare che quegli antipatici dei francesi avevano iniziato a parlare il volgare in chiesa già nel IX secolo. “Oggi di sicuro abbiamo più in onore la Costituzione che la grammatica”, brontola scandalizzata la prof, che evidentemente non si è ancora accorta di chi governa da quasi un ventennio questo paese riducendo la Costituzione a uno straccio, e rincara la dose: “Non so come sia possibile ergersi a difensori delle masse e aver privato sistematicamente le masse di un’istruzione alta”.
La storia della scuola italiana trova finalmente, sulle pagine di Togliamo il disturbo, un’interpretazione chiara e inconfutabile: “Quando abbiamo […chi?] pensato alla scuola dell’obbligo, avevamo […chi?] un gravissimo problema di analfabetismo da risolvere”. Tutto stava procedendo nel migliore dei modi, con tanto di latino a dodici anni, quando, facendosi beffe addirittura di Gramsci, sono arrivati i don Milani, i Rodari e le sinistre a rompere le uova nel paniere e a rovinare tutto. La soluzione? Naturalmente la scuola del WC… e K: Work, Communication… and Knowledge. E qui la prof fa addirittura mordere la polvere al premier e alla sua scuoletta delle tre “i”. La salvezza sarebbe dunque nel separare fin dalla più tenera età le scuole dei futuri lavoratori (work), dal megaparcheggio incustodito della communication e, soprattutto, dalla scuola della Vera e Unica Conoscenza (knowledge), altissima, purissima, umanistica, elitaria (però in senso positivo), destinata a quell’esigua minoranza di giovani che hanno voglia di studiare (e domani di comandare) e finalmente di grande soddisfazione per gli insegnanti che ci operano. Avremo sì un paese devastato ma avremo pure la bella consolazione di un’élite di bravi ragazzi che studiano, finalmente capiscono Tasso e raggiungono l’orgasmo cerebrale ogni tre ottave e due madrigali.
La signora Mastrocola non ci risparmia nemmeno il ricordo struggente del bellissimo, e ormai familiare per i suoi lettori, dottorato in letteratura da lei vinto nel 1992: tre anni indimenticati di full immersion nello studio della tragedia italiana del Cinquecento. Dev’essere stata un’immersione così profonda da restare senza fiato e da perdere totalmente i contatti con la tragedia italiana del 2011. Dove infatti scovare il “lavoro manuale” e le famose “figure professionali introvabili”, di cui la prof più volte parla, se non nella sua fantasia romanzesca o in realtà marginali e residuali del mercato del lavoro? Forse la prof non si è accorta di un’intera società alla deriva e alla disperazione, dei milioni di precari senza possibilità alcuna di scegliere, di progettare il futuro, di affittare una casa o di formare una famiglia, di avere un salario dignitoso (altro che “fuggire dalla libertà”!); non si è accorta delle condizioni di vera e propria schiavitù in cui si trovano gli immigrati; non si è accorta del lavoro che scompare, che non c’è più e dei milioni di disoccupati, cassintegrati, operai in mobilità, né ha la più pallida idea di che cosa voglia dire lavorare, ammalarsi e morire a Pomigliano, a Mirafiori, alla Tyssen, nei campi di Rosarno, nei call center o in un cantiere edile. La signora Mastrocola vorrebbe veder rinascere le corporazioni medievali col loro orgoglio di mestiere e non riesce a vedere i poteri corporati che già esistono, dominano con arroganza e cinismo le nostre vite e stritolano il nostro futuro.
La prof lamenta che gli studenti sono fagnani senza voglia di studiare. Questa, secondo lei, è causa del disastro della scuola italiana. L’esempio fornito da una classe dominante corrotta fino alle midolla, un paese con sempre meno cultura politica e passione civile, l’analfabetismo di base e di ritorno, l’enorme quota di dispersione in tutti gli ordini di scuola, la violenta privatizzazione dell’istruzione, il ritorno del confessionalismo, un processo di democratizzazione della scuola distrutto (così come non sono mai arrivate in porto la 180 o la Costituzione…), l’emarginazione disumana dei più deboli, tutto questo non conta. Un’aria di destra, anzi un venticello insidioso come quello della calunnia, che disprezza e irride le regole e le leggi, che non tollera la critica, l’opposizione e la libertà, che esalta gli egoismi, la disuguaglianza e l’ingiustizia sociale, la sopraffazione, gli stili mafiosi, le congiure delle inique corti, la falsità, i soldi e il successo comunque, sempre, non importa con quali mezzi ottenuto, secondo la prof, non avrebbe alcun effetto sui comportamenti giovanili e sul degrado della società civile. La signora Mastrocola, così spietata nel denunciare le asinerie dei suoi studenti, perché mai fa un lungo viaggio fino in Francia per prendersela con monsieur Thélot? Potrebbe risparmiare tanti chilometri, e capire molto di più della scuola italiana, guardando alla carriera fulminante dei nostri ministri, a partire da quella ragazza che sta a Trastevere, all’Istruzione e che lei così bene conosce, intervista e apprezza, o di autentici geni come Bossi e il suo Trota, Calderoli e Speroni, Scilipoti, Lele Mora, Corona, Fede e tanti fulgidi eroi del nostro tempo.
L’operazione contenuta nell’ultimo romanzetto della Mastrocola non va affatto sottovalutata. Togliamo il disturbo solletica un certo conformismo congenito nel corpo docente e le sottili nostalgie di grembiulini, voti di condotta, autoritarismo; strizza l’occhio all’istinto gregario di quegli insegnanti che aspirano ad accomodarsi nei futuri consigli di amministrazione delle scuole, a costituirne l’esiguo gruppo stabile e inamovibile e a occupare le fasce alte in sistemi di valutazione truccati. La pioggia non li ha bagnati. Come sulle pietre di un torrente, l’acqua di mezzo secolo di storia della scuola italiana è passata invano senza intaccare le loro poche, inconfessate ma impermeabili certezze. È un’operazione che punta sul senso di frustrazione, di stanchezza e di isolamento diffuso tra il personale scolastico, sulle sue eterne frammentazioni e debolezze, sulla sua mancanza di coscienza ma anche sulla piaggeria e sui meccanismi di identificazione col potere. Si sta piano piano sedimentando nelle scuole uno zoccolo disponibile ad appoggiare i progetti di smantellamento della scuola statale portati avanti dal governo.
Oggi il capitalismo è più che mai vivo, lo sappiamo. Non è più questione di destra e di sinistra. Si è imposto però un certo clima, un’impalpabile atmosfera fatta di culto dell’impresa, materialismo volgare, servilismo e sacralizzazione del mercato. Questo sistema che si riproduce distruggendo enormi risorse con la devastazione ambientale, con la guerra, con la rapina delle materie prime ed energetiche, bruciando in pochi istanti intere fortune finanziarie, perché mai non dovrebbe triturare cervelli e annientare altrettanto ingenti risorse intellettuali e umane? Lo ha sempre fatto ed è esattamente quello che oggi sta facendo nelle scuole, nelle università, nei centri di ricerca e di produzione culturale del nostro paese. Questa tragedia era stata ben compresa dal movimento studentesco e operaio degli anni Sessanta quando si opponeva alla divisione tra lavoro manuale e intellettuale, alla separazione tra scuola e società, a un sapere di classe e denunciava come illusoria la prospettiva di una scuola in grado di promuovere il merito e di favorire una reale mobilità e ascesa sociale. Quella che oggi va in putrefazione non è la scuola sognata da una sinistra che ha combattuto, è stata sconfitta e dispersa, bensì gli ultimi scheletri di quella riforma Gentile che divideva alle porte dell’adolescenza quelli che erano destinati a dirigere e diventare razza padrona da quelli a cui era riservato il destino di obbedire e faticare. Dell’uno e dell’altro sistema “educativo”, da tempo il capitalismo italiano non sa proprio che farsene. Evidentemente la prof non si è accorta. Era distratta. Stava già pensando alla tragedia vera, quella del Cinquecento, e a Torquato Tasso. Un pensiero nient’affatto divergente e nemmeno divertente.
21 aprile 2011