Durante la giornata di sciopero nazionale di Trasporto Merci e Logistica di venerdì 23 febbraio, il Sindacato Intercategoriale (S.I.) Cobas ha organizzato un picchetto anche davanti al magazzino DSV nella zona industriale di San Pietro Mosezzo, vicino a Novara, dove, in aggiunta alla lotta per il contratto nazionale (e contro la svendita di CGIL, CISL e UIL), è in corso da mesi una vertenza contro il pagamento in nero, per la retribuzione al 100% di malattia e infortunio e per il buono mensa. Anche altri lavoratori in sciopero (della DHL, del Carrefour e della SDA di Novara) hanno partecipato al picchetto dalle 6 del mattino.
I lavoratori DSV sono appaltati a ben quattro cooperative. Lo “spezzatino” fa capo a due diversi consorzi: Saga (consorzio SEIT, cooperative Santa Cristina e Galaxy) e Consorzio Star (coop Esselogistica e Delta) con lo scopo evidente di dividere i lavoratori tra quattro padroni diversi mentre il committente DSV (De Sammensluttede Vognmaend, una multinazionale danese della logistica sorta nel 1976) paga meno dei minimi contrattuali e finge di non essere parte in causa. Chissà se in Danimarca potrebbe fare impunemente lo stesso? Se la Prefettura, in un precedente incontro, non ha ritenuto di dover intervenire contro il pagamento in nero di parte dei salari, la Questura ha invece pensato di dover intervenire contro… i lavoratori che chiedevano di essere pagati in regola. Infatti, alle 11:30 del 23 scorso, agenti della Digos hanno chiesto ad Adil Belakhdim (operatore del S.I. Cobas di Novara) di sciogliere il picchetto davanti ai cancelli.
Adil ha risposto che i lavoratori si sarebbero riuniti in assemblea per decidere. Conclusa l’assemblea e deciso con i lavoratori di spostarsi, la Digos chiedeva ad Adil di seguire gli agenti in auto. Adil rispondeva favorevolmente, dicendo però che prima doveva assicurare lo scioglimento del picchetto. Proprio allora i poliziotti e carabinieri presenti senza un motivo comprensibile caricavano a manganellate i lavoratori che già avevano sciolto il picchetto. Mentre gli operai si allontanavano correndo, per sfuggire alle cariche, alcuni poliziotti si avventarono contro Adil, raggiungendolo e atterrandolo con manganellate sulla schiena, la testa, il collo, le gambe, come risulta dal verbale del Pronto Soccorso, e, intorno a mezzogiorno, lo portavano in Questura di Novara insieme a Fisnik, delegato sindacale del Carrefour di Cameri.
In Questura i due venivano messi in una cella fredda e maleodorante dopo averli privati della giacca e senza concedere a loro di parlare con l’avvocato, nonostante l’avessero chiesto più volte. Intorno alle ore 14, ad Adil veniva chiesto di firmare il Foglio di via, che gli vietava di mettere piede nel comune di San Pietro Mosezzo per tre anni. Tra le accuse: resistenza a pubblico ufficiale (!!) e rifiuto di fornire i documenti (che non gli erano nemmeno stati richiesti!).
È chiara la pretestuosità delle accuse e la volontà di colpire chi è in prima fila nella lotta e smantellare la rete della rappresentanza sindacale di base per intimidire tutti gli altri. Infatti, nello stessa mattinata, sono stati presi di mira e arrestati anche il delegato della Cooperativa Santa Cristina, Munir, e suo fratello Redouane. Nello scorso dicembre, Redouane aveva visto il suo contratto di lavoro a tempo determinato, con scadenza a fine maggio 2018, “trasformarsi” illegittimamente in contratto mensile con scadenza 31 dicembre 2017, e, come strenna natalizia, era stato lasciato a casa prima della scadenza: una manovra dietro la quale è evidente una ritorsione per il suo impegno nel S.I. Cobas.
Nel primo pomeriggio, i lavoratori aderenti al S.I. Cobas hanno manifestato fuori della Questura di Novara per chiedere la liberazione degli arrestati, che venivano rilasciati solo intorno alle 17:30. Tuttavia, non contenta, la Questura faceva denunciare 21 lavoratori per lo sciopero. Le cooperative a loro volta hanno sospeso quattro lavoratori, di cui due delegati del S.I. Cobas, come rappresaglia contro lo sciopero.
Negli ultimi anni sono passati nella questura novarese diversi funzionari senza che mutasse la sua linea di condotta tesa alla limitazione degli spazi di dissenso sociale, della libertà di manifestare e alla aperta repressione con arresti, denunce e manganellate nei confronti di senzacasa, studenti, antifascisti, compagni rimasti a lottare e ora anche dei lavoratori. Ne sono amare testimonianze i numerosi processi che, finora, si sono conclusi con ampia assoluzione degli accusati dalla polizia, l’ultimo, la settimana scorsa, che è finito col pieno proscioglimento dei sette imputati per i fatti del 2011 in via San Bernardino. Questa condotta della questura è evidentemente voluta per non turbare i sonni sia delle amministrazioni renziane sia di quelle legaiole che si sono alternate negli anni alla guida della Città e della Provincia con esattamente gli stessi risultati per quanto riguarda le condizioni delle classi colpite da una crisi economica ben lontana dal risolversi.
Nel caso specifico di San Pietro Mosezzo, va sottolineato che Novara e il suo hinterland, ormai avvinti nei tentacoli della megalopoli milanese, da decenni sono stati interessati da un abnorme espansione del settore della logistica. Dallo sviluppo del CIM, al progetto di Novara «cerniera tra Piemonte e Lombardia», caldeggiato dalle associazioni industriali piemontesi sul finire degli anni ’80, fino arrivare alla recente, e non ancora conclusa, speculazione sull’area di Agognate questa scelta strategica ha comportato da una parte enormi costi economico-sociali e irreparabili danni ambientali e dall’altra l’accumulazione da parte dei soliti, e pochi, noti di ingenti profitti. Dunque, è evidente che anche a Novara - come già si è verificato a Modena e Fidenza - esiste un blocco di interessi collegato agli affari della logistica, sostenuto anche dalle cosiddette “Forze dell’Ordine”, che, anziché preoccuparsi di perseguire l’affarismo che fa profitti aggirando le leggi e truffando lo Stato e l’INPS, oltre che i lavoratori, spalleggiano questi profittatori senza scrupoli reprimendo i lavoratori che lottano.
Il S.I. Cobas assicura che non si lascerà intimidire da queste azioni repressive, e anche a Novara risponderà con la più ampia solidarietà dei lavoratori e facendo ricorso a tutti gli strumenti legali a disposizione.