Mentre continua la lotta contro il progetto di Cascina Alberto, passato di mano dall’Eni alla Shell, siamo andati a vedere cosa combinano in altre parti del mondo queste due vecchie zitelle dell’idrocarburo.
Prima di tutto, abbiamo avuto conferma che la loro è un’amicizia solida e duratura, collaudata dalle comuni scorrerie tra le ricchezze del continente nero. Nel 2016, l’Italia è stato il paese europeo che ha compiuto il maggior numero di investimenti diretti in Africa. Si tratta di quattro milioni di dollari che rappresentano il 4,3% del totale degli investimenti diretti nel continente. Tra le imprese italiane, è stata proprio l’Eni, che ricava più della metà della produzione di gas e di petrolio dal sottosuolo del continente nero, a far la parte del leone o meglio della iena.
Il nuovo look africano del cagnone a sei zampe è infatti confermato da due processi
tuttora in corso davanti al tribunale di Milano. Il primo vede sul banco degli imputati l’Eni, con la sua vecchia sorella Shell, per il pagamento di una tangente miliardaria finita nelle tasche di ministri e alti funzionari del governo nigeriano e servita ad accaparrarsi lo sfruttamento del giacimento petrolifero Opl 245, il più ricco della Nigeria. Compaiono tra gli accusati Claudio Descalzi, incoronato da Renzi nel maggio 2014 al vertice della multinazionale, controllata per il 30% dal governo italiano, e difeso a spada tratta dall’ex capo del governo quando lo scandalo Opl 245 scoppiò, e il noto faccendiere Luigi Bisignani, capitano di lungo corso delle logge deviate, dalla P2 alla P4, nel cui processo ha patteggiato un anno e sette mesi.
Il secondo processo riguarda il delta del Niger e risale al 2010 quando, per il cedimento strutturale di un oleodotto italiano, le terre del popolo degli Ikebiri furono invase dallo sversamento del petrolio che ha completamente distrutto l’economia locale riducendo migliaia di persone in miseria. Responsabili del disastro ambientale e del mancato intervento di bonifica sono stati riconosciute sia la Nigerian Agip Oil, una controllata dall’Eni, sia la stessa controllante.
Che non si tratti di due casi eccezionali, ma di un comportamento disinvolto, ormai consueto per la iena a sei zampe, è confermato anche dallo scandalo “Bonny Island”, sanato col pagamento di 350 milioni di dollari della multinazionale italiana condannata dalle autorità degli USA per aver raggirato le norme anti-corruzione nella realizzazione di impianti per la liquefazione di gas naturale.
Questi fatti dimostrano chiaramente come la violazione sistematica delle regole, la corruzione e il berlusconismo godano di ottima salute e come la sinistra istituzionale ne sia ormai diventato un sordido puntello. Da tempo anche Minniti e Renzi si sono allineati alle posizioni xenofobe della destra sull’immigrazione e recitano l’«aiutiamoli a casa loro». Ebbene, di tale natura è l’aiuto che l’Italia fornisce alla Nigeria, paese dove ci sono ricchezze immense, eppure l’aspettativa di vita è ferma a 50 anni e i bimbi muoiono di dissenteria, dove il Pil aumenta ogni anno, eppure la distanza tra i pochi ricchi corrotti e le grandi masse dei miserabili si allarga sempre più. Questa è la logica delle iene globali: prima si arricchiscono con la rapina, riducono in miseria e alla fame centinaia di migliaia di persone, costringendole a emigrare, poi ne colgono i frutti politici in casa con xenofobia e razzismo. Questo appunto vuol dire «aiutiamoli a casa loro»!
La corruzione e la rapina sono oggi più che mai inseparabili dal profitto. Colpisce pure l’entità delle tangenti (quella di Eni-Shell è pari a un quarto del totale degli investimenti italiani nel corso di un anno in Africa!). In ogni caso, alla fine, a pagare non saranno faccendieri, delinquenti, rapinatori, facilitatori, politici corrotti o manager senza scrupoli, ma gli utenti con le loro bollette e gli automobilisti alla pompa della benzina.
Comunque, onore e solidarietà al piccolo popolo Ikebiri, che, per la prima volta, è riuscito a trascinare la gigantesca iena con le sue sei zampacce intrise di greggio davanti a un tribunale italiano. È la prima volta che succede e speriamo sia l’inizio di una lunga serie.
10 maggio 2018