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LA GILERA DI BRUNELLO… PARDON, DEL PARTITO

Una “bestia” rossonera da un quintale e mezzo a serbatoio asciutto...

La Gilera 300 Bicilindrica del 1958, tenuta come un gioiello, era di proprietà del Partito. Brunello l’aveva in uso per svolgere la sua attività d’ispettore de “L’Unità” nelle varie edicole del Piemonte nord orientale, della Valle d’Aosta e della Lomellina pavese. Una “bestia” rossonera da un quintale e mezzo a serbatoio asciutto, capace di fare trenta chilometri con un litro e di schiaffargli in faccia il vento marciando a centoventi all’ora. Brunello ne era l’orgoglioso affidatario e l’accudiva prestandole tutte le attenzioni.
Il suo era un lavoro duro, sfiancante. In sella alla Gilera, macinando chilometri su strade polverose e sconnesse, costeggiando campi e risaie, attraversando borgate contadine e paesini minuscoli e sperduti, abbarbicati sui monti. Quando pioveva, e accadeva spesso, la moto e il suo autista si trasformavano in statue di fango ma niente, in nessuna stagione e con qualsiasi tempo, poteva interrompere la “missione” per conto del Partito e del giornale «fondato da Antonio Gramsci». Brunello, in missione, si agghindava con la sua “tenuta da viaggio”. La più “completa” era quella invernale: doppia maglia di lana, copia di giornale (ovviamente, “L’Unità”) per riparare il petto dall’aria, maglione pesante, giaccone di cuoio, doppio paio di pantaloni, ginocchiere da portiere e, a riparare la testa, casco e occhialoni. Con la bella stagione, l’armamentario restava più o meno lo stesso, calando però in stratificazione. In uno scenario politico dominato dai governi di centrosinistra e segnato dal “miracolo economico”, nel marzo del 1962, “L’Unità” aveva unificato le direzioni di Roma e Milano, affidando a un unico direttore, Mario Alicata, la conduzione del giornale. Al suo fianco, come condirettori, lavoravano Aldo Tortorella per l’edizione settentrionale e Luigi Pintor per quella del Centro-Sud. Il giornale era migliorato anche in qualità, apparendo più vivace e scorrevole, con articoli meno lunghi e un linguaggio meno complicato, con foto più grandi e numerose. Insomma, piaceva e si vendeva bene. Dopotutto era l’unica vera voce dell’opposizione in un paese impegnato a vivere la fase più intensa di trasformazione economica, sociale e culturale della sua storia.
Il lavoro dell’ispettore era molto importante. Al pari di chi “confezionava” il quotidiano, dai giornalisti e stenografi ai linotipisti e tipografi, l’ispettore aveva il compito delicatissimo di vigilare sull’andamento delle vendite, controllando i resi e l’organizzazione delle diffusioni straordinarie. Era lui che doveva adottare tutti gli accorgimenti necessari a promuovere “L’Unità” e consolidarne il ruolo di giornale popolare. Il rapporto con gli edicolanti diventava strategico e Brunello, nella categoria, aveva molti amici. Durante la Resistenza non furono pochi i giornalai che svolsero attività antifascista, soprattutto nelle grandi città, diffondendo la stampa clandestina delle organizzazioni democratiche, pur essendo sottoposti a fortissime pressioni poliziesche. E negli anni del dopoguerra, quei legami erano rimasti improntati ad una forte umanità.
Quando arrivava, oltre alla cordialità dei rapporti e un bicchiere di vino in compagnia, non mancava mai di portare con se qualche regalino per i figli più piccoli dei giornalai. Un modellino d’aereo di cartone, un libro di storie, qualche numero speciale de “Il Pioniere dell’Unità”, supplemento del quotidiano che usciva al giovedì. Le storie a fumetti del giornale curato da Marcello Argilli, soprattutto quelle di Atomino e Chiodino, suscitavano un grande interesse. Così come le filastrocche raccolte sotto la sigla “Il juke box di Gianni Rodari”. L’arrivo di Brunello, come si può facilmente immaginare, era un evento. E per “L’Unità”, anche da parte di coloro che la pensavano diversamente, c’era – il più delle volte – un occhio d’attenzione, un certo riguardo. Così, tra un giro e l’altro, si consolidavano amicizie e si allargava l’influenza del quotidiano del più grande partito comunista dell’Occidente.
Quando transitava nel vercellese, poi, era festa grande. Soprattutto all’inizio dell’estate, nel tempo della monda del riso. Ogni anno, per la campagna risicola, migliaia di donne si riversavano nella Bassa vercellese così come nel Novarese e in Lomellina dove la mano d’opera locale non era sufficiente. Le mondine arrivavano dall’Emilia, dal Mantovano, dal Veneto. Accanto a loro si recavano alla monda anche le donne delle baragge e delle zone collinari che raggiungevano le cascine della bassa viaggiando sui carri o a piedi. Era un lavoro durissimo, sfibrante e malpagato ma l’alternativa era una gran miseria e quel lavoro stagionale, con i piedi a bagno nell’acqua di risaia e la schiena curva per ore e ore sotto il sole, rappresentava l’unica possibilità di portare a casa qualche soldo per la pagnotta o la polenta. Brunello, originario di quelle parti, prima di diventare funzionario del Partito e Ispettore de “L’Unità”, appena finita la guerra e la lotta partigiana, aveva svolto per alcuni anni l’incarico di sindacalista della Federbraccianti. Tra le mondariso era conosciuto e apprezzato per l’impegno a tutela dei loro diritti. Quando passava su quelle strade, con la sua rombante Gilera, sentiva la nostalgia per quel mondo che pare uno specchio capovolto, dove l’ azzurro del cielo si riflette nelle acque delle risaie. Avvertiva anche l’affetto di chi non l’aveva dimenticato e, scorgendolo sulla strada, non mancava d’indirizzargli un saluto. Ma in quel fine inverno del 1963, sui campi vuoti e gelati, c’erano solo solitudine impastata con una nebbia tanto fitta che si poteva tagliare con il coltello. L’aria era ghiacciata e viaggiare in moto non era uno scherzo. Nemmeno per i comunisti di provata fede. Fu all’entrata di Arborio, provenendo dal lungo rettilineo di Ghislarengo che la ruota anteriore della moto scivolò su una lastra di ghiaccio, perdendo aderenza. Brunello venne disarcionato, ma non mollò il manubrio della Gilera e, tra gli sguardi attoniti dei pochi passanti e di qualche avventore dell’osteria dei “Mulini”, percorse tutto il centro del paese strisciando attaccato alla moto impazzita. Nessuno osò fiatare davanti a quello spettacolo di scintille, stridore e smadonnamenti da venerdì sera in osteria. Al termine della lunga “scivolata”, Brunello s’alzò, controllò la moto rimettendola in piedi e raddrizzando alla belle e meglio il manubrio. La “tenuta” invernale aveva limitato i danni fisici e anche la Gilera non subì troppe ingiurie dalla caduta. Ben peggio sarebbe stato se Brunello avesse deciso di scindere il suo destino da quello della rombante motocicletta che, con ogni probabilità, si sarebbe sfracellata contro qualche muro. I primi soccorritori, preso atto che di danni gravi non ve ne fossero,chiesero a Brunello la ragione della scelta di non mollare la presa della moto. Lui, dolorante ma composto, rispose che delle proprie cose si poteva decidere cosa farne ma con i beni di tutti, come nel caso della moto del Partito, non si scherzava. «Vanno tutelati, cribbio. Sempre e comunque», bofonchiò a denti stretti l’ispettore de “L’Unità”, riprendendo la strada con un l’intento di portare a termine la sua missione.

Marco Travaglini

Pubblicazione non periodica a cura di ass. culturale Proposta Comunista - Maggiora (NO) - CF e PIVA 91017170035
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