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BRODO DI TARTARUGA

 

Elia Rosati, CasaPound Italia. Fascisti del Terzo millennio, Mimesis edizioni, 2018, pp. 236, 18 euro

Di libri come l’ultimo di Elia Rosati su CasaPound ce ne vorrebbero molti. Sia ben chiaro: insieme a una più robusta e incisiva iniziativa antifascista. Il “fenomeno” CasaPound “esplose” nel nostro territorio nel 2008 in Ossola. In una notte di luglio di dieci anni fa, la città di Domodossola fu disseminata di manichini bianchi di impiccati che portavano al collo il cartello «L’affitto è usura!!! Per il diritto alla proprietà della casa: mutuo sociale subito». Fu Giovanni Battista Ceniti a rivendicare per CasaPound l’azione, affermando soddisfatto: «La nostra finalità era quella di creare panico mediatico e sembra che ci siamo riusciti». Ceniti diventerà famoso sei anni dopo per un’altra azione da “paura”: la partecipazione all’omicidio di Silvio Fanella, il cassiere del faccendiere Gennaro Mokbel, avvenuta il 3 luglio alla Camilluccia di Roma.
I fascisti del terzo millennio si erano insediati su di un terreno favorevole: la narrazione dell’Uopa, l’Unione ossolana per l’autonomia nata nel 1977, dove Umberto Bossi iniziò il suo apprendistato pre-leghista; la devastazione economica, che aveva ridotto le valli ossolane e il Verbano a serbatoio di manodopera per la confinante Svizzera; l’incapacità della sinistra vecchia e nuova di affrontare questi
mutamenti. CasaPound (d’ora in poi CP) si era allora appena separata dalla Fiamma Tricolore e quello di Domodossola fu tra i primi gruppi a formarsi al di fuori di Roma. Due mesi dopo la macabra esposizione degli impiccati, il Blocco studentesco, gli studenti di CP, conquistavano tre rappresentanti su quattro al tecnico “Marconi” e al professionale “Galletti”, le due scuole popolari di Domodossola.

Ebbene, in quell’atto del luglio 2008 è presente il Dna di CP, quegli aspetti che Rosati nel suo saggio descrive e interpreta, ripercorre e analizza con chiarezza e scrupolo. La prima parte del libro indaga le radici profonde del gruppo di estrema destra le quali vanno ricercate all’interno del MSI che «rimase sempre una casa comune in cui ritrovarsi o non perdersi di vista» per tutte le tendenze neofasciste : un atteggiamento ben diverso da quello del PCI impegnato invece nello strano sport della caccia del nemico a sinistra.
Nella seconda parte, Rosati ricostruisce le diverse tappe della storia di CP dalla fase costituente (2005-‘08), ai successivi sviluppi – l’asse con Alba Dorata, il sostegno ai forconi, la breve luna di miele con la Lega di Salvini (2014-‘15) – fino alla recente partecipazione alle elezioni politiche del 4 marzo. Segue un capitolo dedicato al retroterra ideologico di CP, al suo ingarbugliato e improbabile immaginario, ai miti, alle componenti corporative e fasciste, razziste e tradizionaliste del programma della «tartaruga frecciata». La parte finale si concentra sugli strumenti di lavoro del partito neofascista: la musica nazirock; l’uso spregiudicato e martellante di tutte le risorse dei social, i legami con l’estrema destra europea, le associazioni collaterali (il Blocco Studentesco; la Muvra, che si occupa di escursionismo; il Circuito circolo combattenti di arti marziali; i sub dei Diavoli di mare; i paracadutisti di Istinto rapace; i motoclub e le varie associazioni sportive; i centri di ascolto Nemica banca e Dillo a CP; le associazioni di volontariato come Grimes e Impavidi destini; l’onlus Isola delle tartarughe; la Salamandra, che si occupa di protezione civile; l’ambientalista Foresta che avanza; le librerie, le iniziative imprenditoriali come Pivert, ecc.).Completa il libro un’appendice del giornalista Valerio Renzi sul caso Ostia, sull’omicidio Fanella e su Gianluca Casseri, l’assassino di Diop Mor e Samb Modou.
Insomma, un libro molto utile e documentato, ma soprattutto un esempio di analisi politica e di inchiesta che, seppure condotto con una sostanziale impostazione accademica, dovrebbe ricordare alla sinistra l’antica e disusata abitudine di conoscere e studiare la realtà prima ancora di aprire bocca.

L’analisi di Rosati fa emergere il disinvolto eclettismo ideologico dei fascisti del terzo millennio. In questo, i comportamenti di CP si ispirano e richiamano da vicino quelli che furono caratteri di fondo del fascismo sansepolcrino e antemarcia, poi riesumati dalla morente Repubblichina sociale. Infatti, CP si presenta come una forza antisistema, genericamente e astrattamente anticapitalistica, forse anche antiborghese, sensibile alle contraddizioni sociali (naturalmente dei soli italiani, una entità mitica depurata di qualsiasi carattere di classe), tesa a rileggere una parte di un patrimonio storico della sinistra ridotto a mito buono per tutti gli usi, svuotato della sua carica rivoluzionaria ed esorcizzato. Si spinge al punto di fingere una reinterpretazione dei concetti gramsciani di società civile e di egemonia. Si fa vedere attiva e inserita nelle contraddizioni sociali dalla drammatica emergenza abitativa romana (che proprio nella politica urbanistica del ventennio fascista affonda le sue radici lontane!) all’impoverimento di strati crescenti della società.
Tuttavia, le aggregazioni sociali promosse da CP non appaiono affatto finalizzate a una lotta contro il capitale. Sono animate invece dall’obiettivo di rendere visibile il gruppo, di reclutare e formare quadri intermedi fidelizzati e disciplinati, di costruire un’organizzazione compatta e impermeabile a influenze esterne. In questo modo, come sottolinea Rosati, «questo gruppo ha saputo, negli ultimi anni e con la massima disinvoltura, fare entrismo in partiti morenti, concludere alleanze con la Lega Nord, candidarsi in solitaria per ben due volte o provare a essere una lobby interna a una coalizione di centro-destra» . Allo stesso modo, i pubblici incontri sui temi scottanti e su tematiche controverse con la partecipazione di esponenti dell’establishment o di personaggi ritenuti rappresentativi della sinistra non sono affatto seguiti da una rielaborazione politica. Alla spettacolarizzazione opportunista (figlia di quella politica-spettacolo in cui siamo da decenni invischiati), al colpo di scena, all’eco mediatica non segue assolutamente nulla se non una pubblicità gratuita e uno spazio sproporzionato conquistato nella comunicazione.
Come nel ventennio, i fascisti di certi argomenti ne parlano molto per non parlarne affatto, li citano continuamente per non dare mai sbocco concreto. Come il gattopardo del romanzo di Tomasi di Lampedusa, CP cambia tutto per non cambiare nulla. Anche se questo gruppo di estrema destra ha tentato di dare di sé un’immagine nuova e originale, dietro le apparenze e dietro un approssimativo make up riemergono i temi ammuffiti, i logori comportamenti, l’istinto totalitario del fascismo di sempre. CP ama coltivare di sé l’immagine di movimento giovanile, quasi generazionale, ma vale la pena di ricordare che, per esempio, Alain de Benoist, il teorico della Nouvelle droite francese a cui le «tartarughe» spesso si ispirano, ha raggiunto la rispettabile età di 74 anni; che Gabriele Adinolfi, altro faro ideologico della formazione neofascista, ha 64 anni; e che i suoi leader più noti Gianluca Iannone e Simone De Stefano non sono esattamente degli imberbi e hanno rispettivamente 43 e 41 anni.
Con opportunismo e con la massima spregiudicatezza CP maneggia i più diversi strumenti di penetrazione nella società. Passa dalla violenza – i famosi «schiaffoni futuristi» – a un’apparente leggerezza, velata di ironia e di umorismo beffardo e macabro, quello humor nel quale facilmente si riconosce l’impronta dell’«Arbeit macht frei» di Auschwitz oppure delle agghiaccianti parole di Achille Starace davanti al suicidio dell’editore Angelo Fortunato Formiggini. CP procede per allusioni, assume pose squadriste, imitandone l’aspetto ma trasformandole in una manifestazione goliardica o innocua, in realtà «apertamente e furbamente nostalgica» . D’altra parte, i fascisti del terzo millennio s’insinuano in ogni spazio e pertugio istituzionale aperto o malcustodito. Non rifiutano la protezione della polizia quando sono in difficoltà con la piazza così come tentano di capitalizzare i rapporti con istituzioni e forze politiche dall’amministrazione capitolina del sindaco Aledanno a partire dal 2008 all’apparentamento e alle manifestazioni congiunte con la Lega nel 2014-’15. Il gioco si è risolto in questo caso in una beffa: Salvini ha rafforzato la sua credibilità e le sue credenziali di leader dell’estrema destra svuotando il bacino di voti di CP quanto basta per provocare la caporetto elettorale del 4 marzo.
Le tartarughe seguono il più delle volte un itinerario sperimentato e collaudato nel lavoro di sviluppo organizzativo. Dove CP non è presente, si presenta con qualche azione facile, anonima, senza rischi, che può essere gestita da gruppi minimi, su tematiche generiche, prepolitiche o «metapolitiche». L’azione viene immediatamente proiettata e gestita come straordinario evento mediatico sui social e sui mezzi di comunicazione con finalità pubblicitaria e promozionale. Il momento politico arriva dopo con il rafforzamento dei rapporti interpersonali e delle dinamiche “comunitarie” degli adepti. La ritualità assume un ruolo centrale come (ma non solo) nella musica e nella coreografia della «cinghiomattanza», un ballo simile «al pogo del punk inglese» che sfocia in una rissa a cinghiate. Chi non ha la cinghia, le prende e basta. Sarà, ma anche con la cinghia, atavico segno del peggiore autoritarismo paterno, ci risiamo: i fascisti l’hanno fatta “tirare” (e fino all’ultimo buco, il famoso «foro Mussolini») per ben vent’anni a operai, contadini e a gran parte del popolo italiano. In ogni caso, CP propone una ritualità collettiva ma chiusa, privata, rinserrata all’interno del gruppo, dove, attraverso momenti come questi, avviene l’iniziazione delle nuove tartarughe.
Vale la pena di rimarcare che i media hanno diffuso e morbosamente amplificato oltre misura la cinghiomattanza. Da parte sua, CP pone un’attenzione estrema al marketing e al merchandising della comunicazione politica dalla radio on line alla particolare cura dell’aspetto grafico-visuale, dalla creazione di centinaia di pagine web all’imitazione, peraltro maldestra, delle performance e degli happening di Maurizio Cattelan senza contare il presenzialismo televisivo e la costante attenzione alla rete, compresi i tentativi di depurare le pagine di wikipedia dei passi sgraditi e la deindicizzazione delle notizie scomode o dannose per il movimento. È lo stesso Gianluca Iannone a lanciare a iscritti e sostenitori questo messaggio: «I web supporter saranno la task force di pronto intervento di CPI nel mondo di internet. Questo implica una grande responsabilità, la stessa che già chiediamo agli iscritti e agli aderenti di CasaPound». Anche questi aspetti non sono elementi di novità. Si tratta dell’applicazione di tecniche collaudate e raffinate che il monopolio berlusconiano della comunicazione e il partito di plastica dell’ormai smascellato leader di Forza Italia ha introdotto e contribuito a diffondere nel paese fin dagli anni Ottanta. Comunque, l’attivismo web di CP ha contribuito all’incredibile sovradimensionamento mediatico di cui il gruppo neofascista gode. Non esiste in Europa nessuna formazione di dimensioni pari a CP che abbia un tale ingombrante spazio nel sistema della comunicazione.

La «tartaruga frecciata», logo della formazione neofascista, è un esempio della attenzione estrema che i suoi esponenti pongono agli aspetti simbolici, sottilmente ambigui, inconsci e irrazionali della comunicazione (sarebbe utilissima, in questo caso, una rilettura delle pagine di Wilhelm Reich!). Il segno grafico, essenziale e geometrico nelle sue linee, può essere letto nelle più disparate direzioni dall’inevitabile eco delle tartarughe ninja, il cartoon-tormentone americano degli anni Ottanta, alla testudo, la macchina da guerra dell’esercito romano, fino all’esplicito richiamo al numero otto, cardine della “numerologia” hitleriana: infatti, l’animaletto stilizzato ha un carapace racchiuso da otto lati sul quale insistono otto frecce, quattro nere e, per inversione del rapporto figura-sfondo, quattro bianche. Per fortuna, le zampette ricurve sono solo quattro e la testa una sola. In questo modo, il simpatico rettile, un tempo a proprio agio nel mondo delle antiche favole (ma responsabile della morte di Eschilo!) e della moderna fantasy, è stato arruolato, e senza nemmeno chiedergli il permesso, nelle legioni fasciste del terzo millennio. Comunque sia, in natura, la tartaruga ha un implacabile nemico e predatore: l’aquila. Il rapace la cattura e la porta in volo in alto, in alto, ancora più su, dove il cielo è più blu, per lasciarla cadere sulle nere rocce sottostanti. E rimasero otto frecce spezzate sparse sulla scogliera... Così parlò Zarathustra.

23 luglio 2018

Pubblicazione non periodica a cura di ass. culturale Proposta Comunista - Maggiora (NO) - CF e PIVA 91017170035
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