Riceviamo questo contributo di Paolo Regolini che pubblichiamo:
«A Genova, il 14 agosto scorso, è successo un fatto tragico, ahimè molto annunciato e non necessariamente inevitabile. Questa è la mia personale opinione (al di là dell'antipatia per i Benetton e le privatizzazioni): riconosco di non essere un ingegnere né un magistrato e seppure a pensar male si fa peccato, normalmente, ci si azzecca, come ricordava il vecchio Andreotti.
La determinazione della verità spetta alla magistratura, che ne ha la titolarità istituzionale, deve rispettare i suoi diversi gradi di giudizio e non può correre più di tanto (anche se i tempi della sua macchina alle volte sono un po' eccessivi). Il giudizio definitivo (quello di terzo grado, se ci saranno, come prevedibile, ricorsi) prima sul piano penale e poi su quello civile rappresenterà la verità non contestabile e stabilirà le relative condanne e le conseguenti penali.
Ma che verità è quella della magistratura? «Quid est veritas?», chiedeva Pilato a Cristo. È la verità che si basa sulla legge, che non è perfetta e neppure imparziale,
perché le leggi votate dal parlamento rispecchiano gli equilibri tra le diverse parti politiche (e gli interessi che rappresentano) normalmente non favorevoli alle istanze delle classi sociali inferiori, che non hanno mai contato granché, per non dire nulla tout court. È la verità basata sui Contratti stipulati tra i contraenti, materia grigia, simile per elasticità alla pelle dei coglioni e terreno di autentiche perverse furberie di avvocati spregiudicati e profumatamente pagati.
Nel caso di cui trattiamo, i Contratti sono stati a lungo secretati (che è una patente violazione della trasparenza negli atti pubblici) e diversi allegati lo sono tuttora. Certo, la magistratura vi avrà accesso e vedrà di interpretarli al meglio, ma resta il fatto che si tratta di accordi sui quali democrazia e controllo popolare non hanno potuto metter bocca,quindi deprivati di fondamento sovrano. È la verità che si basa sulla capacità dei giudici, ma anche sui loro umanissimi errori e talora sulla loro acclarata corruzione (vedi il caso recente del giudice Metta, penalmente condannato per aver manipolato la sentenza della Cassazione sul Lodo Mondadori a fronte di una cospicua somma, sentenza annullata e poi modificata nel nuovo processo, le cui conclusioni obbligarono Berlusconi a versare 700 milioni di euro a De Benedetti per il danno emergente generato dalla sentenza taroccata). Insomma non è la VERITÀ ASSOLUTA, ma è quella che in un sistema democratico costituzionale fa fede ed alla quale tutti si devono uniformare.
Ma ci sono altre verità e altre istanze che con modi diversi e diversa visibilità possono e devono seguire, pure esse previste dalla legge e, per questo, titolate a far luce sui fatti, per quanto non legittimate ad arrivare a sentenza. Mi riferisco alle indagini delle Commissioni ministeriali e delle Commissioni di inchiesta parlamentari, che esistono, negli USA non diversamente che in Italia e probabilmente in tanti altri Paesi, e che spesso hanno saputo far emergere aspetti e responsabilità non secondarie, a partire dalle quali pubblici ministeri attenti e leali hanno potuto e voluto riaprire dibattimenti già arrivati a sentenza definitiva di terzo grado. C'è la verità a cui arrivano brillanti investigatori e ottimi giornalisti e infine la verità storica, che emerge però dopo molto tempo e serve ai posteri per imparare dagli errori degli antenati.
Al di là e al di fuori di queste considerazioni (peraltro non peregrine né insignificanti) c'è da spendere un'ulteriore parola sullo "scandalo" scatenato dalla correttissima- affermazione del Presidente del Consiglio Conte che ha dichiarato: «Il governo non può attendere la giustizia». In molti (farisei) si sono pretestuosamente stracciati le vesti, gridando al giacobinismo (addirittura Robespierre) e al conflitto istituzionale: falso. Conte, professore ordinario di diritto, non mette minimamente in discussione il ruolo della magistratura (l'esecutivo non può essere anarchico, ça va sans dire) e lo stato ne rispetterà (quando saranno definitive) le sentenze.
Il problema è che il governo (cui spetta il "fare" appunto e non il “giudicare”) NON può lasciare Dracula a gestire i depositi dell'AVIS in attesa delle sentenze: DEVE quindi individuare – nel rispetto delle procedure che la legge prevede – una soluzione pro tempore e gestire il transeunte. Quando la magistratura avrà stabilito colpe, pene e conseguenti obbligazioni pecuniarie, si vedrà se Avis deve dei soldi a Dracula o se piuttosto non ne avanza, magari molti. Non trovo, in questo procedere, nulla di scandaloso: anzi.
Non entro nel merito tecnico e legale del crollo e delle relative responsabilità: non ne ho le competenze e neppure informazione sufficientemente adeguata. Mi limito a qualche considerazione sui risvolti finanziari della vicenda ASPI (Autostrade per l'Italia): più domande che risposte, ovviamente.
Lo stato, attaverso il governo Prodi, con Ciampi ministro del Tesoro, Draghi direttore generale del Tesoro e Dalema segretario del PDS/DS nonché deus ex machina dell’operazione, vendette a fine anni '90 AUTOSTRADE IRI per circa 6 miliardi di euro (allora era il controvalore in lire, ovviamente). La Finanziaria Schemaventotto ( Edizione Holding, Benetton) ne acquisì il 30%, versando circa 2,5 miliardi ( 1,3 di mezzi propri e 1,2 presi a prestito, incluso apparentemente il premio per la maggioranza di controllo); il resto andò ad altri investitori istituzionali ed al mercato. Sulla base di questo investimento/cash out venne presumibilmente redatto il business plan, che definì le tariffe (i ricavi futuri) capaci di coprire i costi e remunerare il capitale investito: l'architettura finanziaria era ovviamente estranea a dette determinazioni, come si conviene alla metodica del DCF (valutazione del flusso di cassa scontato).
Cosa vera solo in parte poi, perché gli aspetti finanziari della gestione (messi correttamente fuori dalla porta) rientrano quatti quatti dalla finestra nella determinazione del tasso di attualizzazione (il WACC) che, essendo appunto un valore ponderato, deve tenere conto della composizione della copertura finanziaria dell'investimento e delle relative remunerazioni in termini di tasso di interesse sui prestiti e di costo del capitale proprio, laddove si materializza il sibillino “coefficiente beta”: non è questione di lana caprina.
Diciamo, insomma, che c'era un business plan e che periodicamente sarebbe stato oggetto di revisione, per rimodulare la tariffa in funzione dei maggiori/minori ricavi e costi nonché degli investimenti effettuati e da effettuare.
Il secondo passaggio avvenne nel 2003, quando un altro veicolo finanziario controllato da Schemaventotto, denominato NewCo28, rilevò con un’Opa il 54% di Autostrade per 6,5 miliardi( integralmente finanziati con mezzi di terzi). NewCo28 incorporò poi (per fusione) Autostrade, scaricandole il debito contratto per finanziare l’Offerta. Per i Benetton l’operazione si chiuse a costo zero. Schemaventotto tra il 2000 e il 2009 prelevò infatti da Autostrade 1,4 miliardi di dividendi, tutti generati da utili, e ne collocò in Borsa il 12% con un incasso di altri 1,2 miliardi. Il ricavato totale fu di 2,6 miliardi di euro.
Tali alchimie finanziarie erano evidentemente (Contratto alla mano) nella libera discrezionalità dei Benetton e dei loro Soci, ma avrei oggi da eccepire se tale debito, in caso di nazionalizzazione o revoca della concessione, venisse addossato allo stato: la concessione fu data priva di debiti finanziari e le successive operazioni di mercato sul capitale sono pertinenti agli affari dei soci, quindi ai piani alti dell'equity, e nulla hanno a che vedere con la gestione industriale del servizio autostradale, oggetto del contenzioso.
Pure mi sento di eccepire sulla modulazione della tariffa (e sul valore degli investimenti effettivamente impegnati). La tabella riportata, la cui fonte è “Il Sole 24 Ore”, documenta la generosità della stessa nel consentire la copertura di oneri finanziari (in vero quelli evidenziati includono, a tutta evidenza, pure le quote di restituzione del capitale, assimilabili invece all'ammortamento) nel ragionevole ordine di 100/120 milioni di euro/anno.
Importi incassati e spesi da Autostrade
per l’Italia nel periodo 2001-2017 (Dati in miliardi di euro)
Oneri concessori 3,6
Manutenzioni 5
Investimenti 13,6
Costo del lavoro 6,8
Tasse 5,3
Oneri sul debito 7,3
Utili 2,1
E pure mi sento di eccepire sul fatto che, scaricando 6,5 miliardi di debito, cioè il valore dell'Opa 2003, su ASPI, i relativi oneri finanziari hanno consentito di "risparmiare" tasse nell'ordine di 40/50 milioni anno, per un totale, nel sedicennio in questione, di 700/800 milioni di euro, artificiosamente sottratti alle casse dell'erario.
Sono lontano dal vero o le cose, tutte, stanno proprio così?
Non entro nel merito del valore residuo: mi limito a domandarmi quale possa essere il "valore residuo" di 43 vite umane: nessuno, si potrebbe affermare, perché la vita non ha prezzo. Ma sarebbe beffardo e schifoso approfittare di questo assurdo paradosso per non metterle nel conto. Qualcuno dovrà pur stabilire quanto va liquidato ai familiari delle vittime per aiutarli a superare il dramma umano (e per molti anche economico) di ogni singola perdita e per fare qualcosa che onori la memoria dei deceduti, dando seguito a quel che nella vita avrebbero voluto realizzare per sé e per gli altri.
Stesso discorso vale per i 600 sfollati e per il disagio (o meglio la tragedia, il rischio di soccombere) di una città in ginocchio.
IL PONTE NUOVO
ANCHE DAL DESERTO POSSONO NASCERE FIORI BELLISSIMI
NON HANNO BISOGNO DI ARCHITETTI BLASONATI NÉ DI MULTINAZIONALI O DI BANCHIERI, LADRI MEN CHE MENO
È L'INTELLIGENZA DELLA NATURA, IL SUO EQUILIBRIO, LA SUA LEGGE MILLENARIA A FARE IL MIRACOLO
PER IL PONTE NUOVO SUL POLCEVERA SERVE E BASTA L'INTELLIGENZA SOCIALE, L'ESPERIENZA DI CHI A GENOVA VIVE E LOTTA DA SECOLI
VOI AVETE FATTO IL DESERTO, ORA PAGATE IL CONTO E ANDATEVENE
AL PONTE NUOVO CI PENSIAMO NOI, GENOVA E L'ITALIA INTERA
VOGLIAMO PENSARE UN PONTE INTELLIGENTE
UN PONTE NUOVO, IN TUTTI I SENSI
UN PONTE DI TUTTI E PER TUTTI, DAVVERO
CHE CENTO FIORI FIORISCANO E CENTO IDEE GAREGGINO
E DAL PONTE NUOVO MILLE ALTRI PONTI SI DIPARTANO PER INSEGUIRE GLI ORIZZONTI NUOVI DEL FUTURO NOSTRO
Un ponte non è una passerella sopra un fiume: è un modo per consentire a una città di interconnettere persone, traffici, lavoro, vita decente e sicura.
Genova è una città orograficamente difficile, schiacciata tra monti e mare, tutta valli e vallette ma tra Sampierdarena e Sestri ponente già ci sono tante strade: Via Cantore, Via Buranello, Via Sampierdarena, Via Canepa (6 corsie) con la prosecuzione della Guido Rossa, ormai vicina al collegamento col casello autostradale di Sestri/aeroporto e pure la strada all’interno dell’Ilva.
Prima di fare il ponte nuovo (e soprattutto prima di regalare 6 miliardi di euro a chi vuole farsi la Gronda) vediamo come tutto questo si può utilizzare al meglio e soprattutto ripensiamo il Nodo di San Benigno (che Autostrade spa ha declassato a semplice intonacatura) come sblocco del traffico che intasa Genova ovest.
I TIR che vanno ai terminal portuali di Sampierdarena possono semplicemente scendere dalla A/7 Serravalle Genova e non hanno bisogno del ponte sul Polcevera. Idem quelli che vanno al VTE di Pra e possono viaggiare sulla A 26. I TIR che viaggiano tra Lisbona, Barcellona, Marsiglia verso Spezia, Livorno, Roma (ma quanti sono davvero?) possono passare da Ovada, è un po’ più lunga ma non è il nostro problema. Se invece sono migliaia (???) che prendano il traghetto, le autostrade del mare sono aperte da sempre ma mai utilizzate, perché richiedono qualche minuto di più per arrivare a destinazione: non è il nostro problema, è il problema dei padroni del mondo, esattamente quelli che ci hanno ammazzato e noi vogliamo/dobbiamo combattere.
Poi c’è (ci sarebbe, ad averla fatta per tempo e a modo) la ferrovia.
Ma anche per come è (mal ridotta) può comunque portare oltre Appennino 1,4 milioni di container all’anno, anche di più interconnettendo il Camerone di Borzoli con la galleria alta dei Giovi (quella che sbuca a Ronco Scrivia, bypassando Busalla) mancano due chilometri di binari ma si preferisce sventrare l’Appennino per fare cento nuovi, che non serviranno a nulla. Genova non sarà mai un porto da 10 milioni di container, facciamocene una ragione.
Quanto ai passeggeri e ai pendolari, quando Ferrovie dello Stato (o RFI) avranno finalmente completato il quadruplicamento dei binari (che aggira alle spalle la città, instradandovi i treni a medio/lunga percorrenza) l’intera tratta Voltri-Nervi diventerà una eccellente metropolitana di superficie, con diverse nuove stazioni intermedie.
E se tutto questo non bastasse (ma pensiamoci bene) si potrebbe “buttare a mare la sopraelevata”: sì, smontarla e inabissarla davanti alla Fincantieri, concorrendo al riempimento necessario per il suo ribaltamento a mare (e per il suo futuro industriale) e consentendo, oltretutto, alla Guido Rossa di passare sulle aree liberate a terra e arrivare fino a Multedo.
E inventare un altro ponte (bellissimo, come il Golden Gate di San Francisco in California) che parta da Pra (dove lo svincolo autostradale è già collegato ai moli) ed arrivi fino alla Foce (dove ora atterra la Sopraelevata). Senza scempiare una costa già industrializzata, anzi dandole un nuovo look. Un ponte solo per il trasporto locale, con una bretella a Sampierdarena e una a Caricamento. Ma forse non ce n’è neppure bisogno.
INSOMMA
NON FACCIAMOCI SCIPPARE IL PONTE DA CHI L’HA FATTO CROLLARE, CON UN MARCHIO DI INFAMIA IRREVERSIBILE E SENZA APPELLO
IN ATTESA DI DECISIONI SU REVOCA DELLA CONCESSIONE, NAZIONALIZZAZIONE E TITOLARITA’ DELLA RICOSTRUZIONE, IMPONIAMO UN PROVVEDIMENTO DI CONGELAMENTO, UNA SOSPENSIONE AMMINISTRATIVA CHE FERMI LE LANCETTE E CONSENTA A GENOVA DI DECIDERE COME, PERCHÉ, DOVE FARE IL PONTE NUOVO
C’E’ TEMPO, LO SGOMBERO DELLE MACERIE NON E’ PER DOMANI
VEDIAMOCI SUBITO, OSPITI A SAMPIARDARENA DEL CENTRO CIVICO CHE ACCOGLIE CHI HA DOVUTO LASCIARE CASA PER SALVARE LA PELLE E HA DIRITTO A DIRE LA SUA, FOSSE SOLO PERCHÉ COL PONTE HA CONVISSUTO 51 ANNI, 24 ORE AL GIORNO.
VEDIAMOCI CON I PORTUALI, CON I LAVORATORI DEL PONENTE, CON GLI AUTISTI DELL’AMT, CON LE DONNE E GLI STUDENTI DELLA VALPOLCEVERA, CON GLI ESPERTI DEL TRAFFICO E DELLA LOGISTICA (MA NIENTE IMPRENDITORI E CORIFEI AL LORO SOLDO)
PER DECIDERE COME DOVRA’ ESSERE IL NOSTRO NUOVO PONTE
POI VEDREMO I GEOLOGI, GLI INGEGNERI E ALL’ULTIMO GLI ARCHITETTI: MA NON QUELLI (RENZO PIANO, PER NON FARE NOMI) CHE SI SONO AFFRETTATI A PRESENTARE PROGETTI SENZA NEPPURE INTERPELLARCI
VOI AVETE FATTO CADERE IL PONTE: 43 MORTI, 600 SFOLLATI, UNA CITTA’ IN GINOCCHIO. VOI IMPRESE MULTINAZIONALI E LOCALI, VOI BANCHE, VOI GRANDI GRUPPI FINANZIARI. COL VOSTRO COMITATO D’AFFARI, STATO, UE, LOBBIE
ORA BASTA, PAGATE IL CONTO E FUORI DAI COGLIONI.
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ORA TOCCA A NOI, AI CITTADINI, AL PROTAGONISMO DEL LAVORO E AL CONFLITTO
VEDIAMOCI, DISCUTIAMO, DECIDIAMO
OBIETTIVO: PRESENTARE LA NOSTRA PROPOSTA IL 5 DICEMBRE»