di Marco Travaglini
Il 9 novembre di trent’anni fa il Muro di Berlino, eretto in una sola notte il 13 agosto del 1961, veniva abbattuto. A colpi di piccone si cancellava il simbolo della guerra fredda, di un mondo spaccato a metà, in due blocchi: i regimi comunisti a Est e i paesi democratici a Ovest. Quella barriera di filo spinato, eretta dalla DDR nel periodo caldo della “crisi di Berlino” di 58 anni fa allo scopo di separare la Repubblica Democratica tedesca dalla Repubblica Federale di Germania, nelle settimane successive fu sostituita da un muro alto quasi quattro metri, lungo più di 150 chilometri, controllato da centinaia di torrette di guardia disposte a intervalli regolari.
La sera del 9 novembre 1989 i berlinesi dell'est forzarono il passaggio attraverso il muro che, per ventotto anni, contrappose due modelli di vita diametralmente contrari: una città viva, libera e consumista a ovest, una città tetra e oppressa a est. Le guardie al checkpoint di Bornholmer Strasse furono le prime a cedere alla pressione della masse aprendo la barriera. Non venne sparato un solo colpo e poco dopo la mezzanotte tutti i valichi furono aperti. Il Muro, il Berliner Mauer ufficialmente ribattezzato “antifaschistischer Schutzwall”, la “barriera di protezione antifascista”, cessò di dividere in due la città. Impossibile, ancora oggi, camminare lungo le sue strade e non respirare ad ogni passo la presenza-assenza di quella linea di demarcazione che spaccò in due Berlino e l’Europa, travolgendo il destino di tanti, non solo dei berlinesi.
Il 1989 colse tutti di sorpresa. In pochi mesi si dovettero ridisegnare le carte geografiche e i confini mentali. Si salutò con gioia la riunificazione dell'Europa. Dopo una parentesi lunga decenni rinasceva la democrazia, cadeva quel muro e la cortina di ferro veniva smantellata. Era davvero la fine del vecchio mondo e si accendevano passioni e speranze nuove. Poi, la realtà delle cose si è incaricata di spegnere gran parte di quegli entusiasmi. Crisi economiche e sociali, ingiustizie e vecchi e nuovi sfruttamenti hanno fatto impallidire molte di quelle aspirazioni e di quei sogni di un mondo migliore. Solo quattro anni dopo, con un gesto altrettanto simbolico ma del tutto scellerato, l’artiglieria croata abbatteva nello stesso giorno di novembre il ponte di Mostar. Se per un verso, la caduta del Muro chiuse una pagina nera della storia europea, abbattendo simbolicamente il confine della guerra fredda e avviando il processo di riunificazione della Germania, l’abbattimento del pluricentenario ponte a schiena d’asino, simbolo del legame fra Oriente e Occidente, equivalse all’esatto contrario. Dopo la caduta del Muro ci sono state le guerre della ex Jugoslavia, quelle in Africa, nel Medio e vicino Oriente, il terrorismo islamico con i suoi attentati. Negli anni della divisione tra Est e Ovest la minaccia nucleare era l’incubo ricorrente; oggi, nel mondo, ci sono ancora all’incirca ventimila ordigni atomici. E vengono innalzati nuovi muri e srotolato il filo spinato per dividere, separare, per impedire alle persone - come a Berlino - di muoversi liberamente. Trent'anni dopo è essenziale celebrare l’abbattimento del muro ma al tempo stesso occorre cercare di capire cosa non ha funzionato, perché molte speranze sono state tradite. Comunque, tornando all’anniversario, non si possono cancellare le immagini e l’atmosfera che accompagnava l'ondata di folla sul ponte di Bornholmer Strasse nella Berlino di quei giorni. Attorno al muro che si sgretolava sotto i colpi di piccone ragazzi cantavano l’inno pacifista di John Lennon “All we are saying is give peace a chance” (Tutto quello che stiamo dicendo è date una possibilità alla pace) mentre il grande violoncellista Mstislav Rostropovich che 25 anni fa eseguiva le suites di Bach. Vale la pena ricordare anche un’altra storia che ha molto a che fare con il muro berlinese. Una tra le più belle canzoni di David Bowie è senz’altro Heroes, gli eroi. Chi non ha mai sentito questo ritornello, «We can be Heroes,We can be Heroes, Just for one day We can be Heroes»? Un testo bellissimo, che racconta una storia d’amore in una Berlino sul finire degli anni ’70. Basta un brano della traduzione per rendersene conto: «Io, io mi ricordo. In piedi sotto al Muro. E i fucili spararono sopra le nostre teste. E ci baciammo, come se niente potesse accadere. E la vergogna era dall’altra parte. Oh, possiamo batterli, ancora e per sempre. Allora potremmo essere Eroi, anche solo per un giorno. Possiamo essere Eroi. Solo per un giorno, possiamo essere Eroi». Bowie dichiarò che il testo della canzone gli fu ispirato da una giovane coppia che si incontrava segretamente sotto la torretta di guardia del Muro di Berlino e che lui spiava dalla finestra dello studio di registrazione che si affacciava proprio sul “muro della vergogna”. La musica, scritta a quattro mani da Bowie e Brian Eno, è un crescendo “epico ed eroico” di chitarre, percussioni e sintetizzatori,in sintonia con il testo. In occasione del venticinquesimo anniversario della caduta del muro di Berlino, il 9 novembre 2014, Heroes venne interpretata da Peter Gabriel davanti alla porta di Brandeburgo. Ora che anche David Bowie ci ha lasciati consegnandoci in eredità la sua musica, in occasioni come quella del trentennale, è bello riascoltare questa canzone. Forse, chiudendo gli occhi, anche noi potremo sentirci, magari solo per un giorno, degli eroi.