Ricorrono, in quest’anno che si sta chiudendo, il centenario della nascita di Gianni Rodari e il quarantesimo della sua morte.
Nell’epoca del neoliberismo tronfio e apparentemente trionfante, strani destini sono riservati agli scrittori comunisti: essere dimenticati, condannati alla damnatio memoriae, oppure, quando questa proscrizione risulta impraticabile, essere completamente travisati e svuotati di contenuti rivoluzionari e liberatori. A Rodari, è capitato di peggio. Il suo lavoro e il suo pensiero sono stati oggetto di un macabro tentativo di sdoppiamento. Come Il visconte dimezzato, è stato maciullato e diviso, però con un risultato ben diverso da quello del romanzo di Italo Calvino. Infatti, da una parte, si ritrova il Rodari “Buono”, quello delle filastrocche senza riscontri col reale, quello di un vago umanitarismo adattabile a tutte le stagioni, quello di una fantasia fine a se stessa, quello di prodotto di mercato ghiotto per l’editoria e lo spettacolo. Accanto, dall’altra parte, giace il Rodari “Gramo”, il partigiano, il militante comunista, l’intellettuale organico della classe, il redattore de “Il Pioniere”, il giornalista de “L’Unità”, il corsivista Benelux, il pedagogista scomunicato dal Vaticano.
I due Rodari sono invece inseparabili. Il “Buono” non avrebbe mai potuto esistere senza il “Gramo”, come le sue filastrocche e la sua pedagogia non sarebbero mai nate senza l’esperienza dell’ingiustizia sociale e dello sfruttamento dell’infanzia; come la sua fantasia non avrebbe avuto senso senza diventare strumento di cambiamento della realtà; come il suo amore per l’umanità sarebbe stato inseparabile dalla lotta per la costruzione di una società socialista.
Scriveva Rodari nella Storia degli uomini, destinata «per i ragazzi ma dedicata anche ai grandi» sulla rivoluzione russa e su Lenin: «Ma la nuova «Comune» aveva stavolta il suo partito rivoluzionario, il suo esercito, e la guida di Lenin, un uomo che è tra i massimi geni espressi dall’umanità nel suo cammino: un piccolo uomo modesto, disinteressato, malvestito, un gigante nell’azione rivoluzionaria, un cervello che valeva da solo più di un esercito». E concludeva la sua Storia con queste parole: «Se invece di subire la storia gli uomini si uniranno per farla; se sapranno dominare i rapporti sociali come dominano le forze della natura e gli strumenti della tecnica; se avranno fiducia in se stessi,il mondo di domani potrà essere migliore, più giusto e più libero. Un mondo senza prepotenze, senza fame, senza ignoranza. Un mondo più unito, più fraterno. Se questo mondo nascerà domani o tra cinquant’anni, o cento, e che aspetto avrà, non sappiamo: ma che altro ci rimane da fare se non lavorare per il suo avvento, costruirlo giorno per giorno, in modo che corrisponda ai nostri sogni?»
In questo anno di affanni e tribolazioni, lo ricordiamo vivo e combattente con una scelta di filastrocche effettuata dal compagno Piero, che ringraziamo.
SPERANZA
Se io avessi una botteguccia
fatta di una sola stanza
vorrei mettermi a vendere
sai cosa? La speranza.
«Speranza a buon mercato!»
Per un soldo ne darei
ad un solo cliente
quanto basta per sei.
E alla povera gente
che non ha da campare
darei tutta la mia speranza
senza fargliela pagare.
LA MADRE DEL PARTIGIANO
Sulla neve bianca bianca
c’è una macchia color vermiglio,
è il sangue, il sangue di mio figlio,
morto per la libertà.
Quando il sole la neve scioglie
un fiore rosso vedi spuntare:
o tu che passi, non lo strappare,
è il fiore della libertà.
Quando scesero i partigiani
a liberare le nostre case,
sui monti azzurri mio figlio rimase
a far la guardia alla libertà.
VIVA LA PRIMAVERA
Viva la primavera
che viaggia liberamente
di frontiera in frontiera
senza passaporto,
con un seguito di primule,
mughetti e ciclamini
che attraversando i confini
cambiarono nome come
passeggeri clandestini.
Tutti i fiori del mondo sono fratelli.
DOPO LA PIOGGIA
Dopo la pioggia viene il sereno
brilla in cielo l’arcobaleno.
È come un ponte imbandierato
e il sole ci passa festeggiato.
È bello guardare a naso in su
le sue bandiere rosse e blu.
Però lo si vede, questo è il male
soltanto dopo il temporale.
Non sarebbe più conveniente
il temporale non farlo per niente?
Un arcobaleno senza tempesta,
questa sì che sarebbe una festa.
Sarebbe una festa per tutta la terra
fare la pace prima della guerra.
IL GIORNO, LA NOTTE E I SUOI COLORI
Di notte è tutto nero:
il cielo, i giardini, i prati,
il mare che urla e piange,
i boschi profumati.
Ma appena il gallo canta
il sole torna fuori
a dipingere il mondo
coi suoi mille colori.
PROMEMORIA
Ci sono cose da fare ogni giorno:
lavarsi, studiare, giocare,
preparare la tavola,
a mezzogiorno.
Ci sono cose da far di notte:
chiudere gli occhi, dormire,
avere sogni da sognare,
orecchie da sentire.
Ci sono cose da non fare mai,
né di giorno né di notte,
né per mare né per terra:
per esempio, la guerra.
AMICI
Dice un proverbio dei tempi andati
«Meglio soli che male accompagnati».
Io ne so uno più bello assai:
«In compagnia lontano vai».
Dice un proverbio, chissà perché:
«Chi fa da solo fa per tre».
Da questo orecchio io non ci sento:
«Chi ha cento amici fa per cento!»
Dice un proverbio ormai da cambiare:
«Chi sta da solo non può sbagliare!»
Questo, io dico, è una bugia:
«Se siamo in tanti si fa allegria!»