È scritta in inglese “Bosnia grave of dooned”, Bosnia tomba dei dannati, sui muri della città di Bihac nel cantone settentrionale di Una-Sana in Bosnia – Erzegovina a 10 km dal confine croato, trincea dell’Europa contro i migranti della Rotta Balcanica. Qui non si passa per l’Europa. La città di Bihac, 60.000 abitanti, è divenuta suo malgrado avamposto di frontiera. Il confine con la Croazia è fra i più blindati d’Europa. Questo grazie alla civile e democratica Europa che foraggiando il governo croato con 108 milioni di euro nel periodo 2014- 2020 e aumentando di 6,8 milioni all’anno dal 2018, ha risolto “il suo problema” trasformando la Bosnia in una tomba per i migranti. La Croazia a differenza della fascista Ungheria che ha innalzato un invalicabile muro di filo spinato, usa un armamentario più soft, moderno fatto di droni, rilevatori di movimento, termo e video camere. E’ l’aspetto high tech della frontiera croata. Quello meno noto perché taciuto, ma più reale, è fatto di manganelli, botte pestaggi e di ruberie da parte della polizia croata a danni dei migranti privati di soldi, cellulari scarpe e a volte anche dei vestiti. Poi ricacciati al di là del confine in Bosnia. Bosnia trappola senza uscita per migliaia di profughi afgani, siriani, pakistani dannati e disperati in campi di “raccolta” o meglio di detenzione, o in strutture abbandonate, archeologia industriale storica di quello che era la ex Jugoslavia socialista. Sulla strada tra Bihac e Velika Kladusa si trovano i risultati delle privatizzazioni intervenute dopo la disgregazione della patria di Tito. Il Kombitex una azienda tessile abbandonata è rifugio per un centinaio di persone; Dom Penzionera ce ne sono 300; Krajana Metal ex fabbrica componenti meccanici ne accoglie 200; a Bira posto chiuso l’anno scorso, sono ritornati profughi in condizioni disperate e inaccettabili. Luoghi privi di tutto, senza assistenza sanitaria e umanitaria del governo bosniaco che fa di tutto per rendere loro la vita ancora più invivibile. Come Sakine, 36 anni donna afgana con il marito Jawad e le figlie di 4 e 8 anni, ha attraversato le frontiere di Iran, Turchia, Grecia, Albania ma è stata respinta per 30 volte dalla Croazia e l’ultima volta con botte di manganelli e taser e cani, derubandoli di tutto. Ora per il momento vivono in una casa di mattoni rossi abbandonata insieme ad altre famiglie afgane a Una - Sana dalle parti di Velika – Kladusa non molto lontano dal confine. In condizioni disumane. Non sembra esserci alternativa alla detenzioni nei centri e alla disperazione. L’Europa si premura di tenere fuori dai propri confini i profughi, la Bosnia scoraggia ogni possibile richiesta di asilo. 300 giorni per formulare la richiesta, 400 per avere la prima intervista e poter se va bene per uscire dalla illegalità. Ma anche per essere rispedito da dove sei venuto. I migranti resistono nella speranza disperata di superare un giorno la frontiera e giungere in Europa spesso per ricongiungersi con i propri famigliari, per cercare un futuro. E’ una resistenza fisica contro la fatica, la fame, le botte, le ferite, la disperazione. Nell’indifferenza del nostro mondo, tra l’eroica azione di Ong maltrattate dai governanti locali, si consuma il dramma dei dannati della Rotta Balcanica, vittime della democrazia esportata con le armi per gli interessi dell’occidente.
Settembre 2021 Alfredo Perazza