Come cento anni fa? Le somiglianze ci sono e sono innegabili. Prima di tutto, oggi come allora, stiamo attraversando una crisi internazionale di dimensioni gigantesche, che si prolunga ormai dal 2008. Nell’aria, è palpabile quella polvere sottile che contamina le menti e indurisce i cuori e che prelude a uno scontro, a un conflitto epocale. Quello che è successo a Roma non è altro che una piccola variante delta di una strisciante avanzata delle destre estreme dal suprematismo e dal trumpismo nordamericano al lepennismo d’oltralpe, dalla svolta autoritaria in corso in Polonia a quella ormai consolidata in Ungheria. Un secondo elemento che ci riconduce all’oscurità degli anni Venti del secolo passato è rappresentato dall’irrazionalismo dilagante e dal culto della violenza, una violenza sistematica, predicata, idolatrata, coltivata di cui Forza Nuova ha fatto uno dei suoi aspetti distintivi. Una violenza asimmetrica che si scatena quando le condizioni sono di evidente disparità di forze o addirittura contro chi non è in grado di difendersi. Oggi come ieri, il fascismo si annida e si rotola nel fango delle frustrazioni e della rabbia di una piccola borghesia insoddisfatta e decadente, si incista al suo interno alla ricerca di simpatie e di consensi. Qualche anno fa, fu il tentativo di guidare i cosiddetti forconi; in questi mesi, è quello di spalleggiare il malcontento dei no vax, prodotto prima di tutto della condotta a dir poco farraginosa del governo nella gestione della pandemia. L’obiettivo vero, al solito, è rappresentato dal movimento operaio, nel nostro caso il bersaglio simbolico della sede nazionale della CGIL. Ancora, lo squadrismo trova indulgenze e velate giustificazioni in un apparato mediatico molto più potente, pervasivo e totalizzante di quello di un secolo fa, un sistema cresciuto alla scuola di Mediaset e del pensiero unico neoliberista. Ultimo elemento è rappresentato dalle coperture politiche. Com’è possibile che uno stato dotato di uno degli apparati polizieschi più pletorici, di quella polizia efficientissima contro le popolazioni della Valsusa, contro i giovani dei centri sociali, contro i lavoratori che ancora hanno il coraggio di lottare, in grado di infiltrarsi ovunque, non abbia avuto sentore di quello che stava per accadere a Roma? Quanto alle coperture politiche, oggi, sono al governo e in un governo di una unità nazionale così ampia da comprendere quasi tutti.
Altrettanto significative sono però le differenze rispetto al 1921. In primo luogo, non stiamo uscendo da un conflitto devastante come fu quello della Grande guerra, e, per quanto la povertà sia diffusa, non siamo alle condizioni di generale miseria dell’Italia giolittiana. Una seconda differenza rilevante è rappresentanza dalla mancanza di un movimento di classe organizzato e combattivo. Nei primi anni Venti, persino le leghe bianche di Miglioli lottavano nelle campagne seppure con obiettivi e riferimenti sociali ben diversi da quelli della Federterra. Oggi, la voluta cancellazione dei fondamentali di quella cultura è tale che, dopo le prove dei mesi precedenti, nell’imminenza di un’annunciata manifestazione fascista, una sede sindacale nazionale viene lasciata completamente sguarnita! Quello del 1921, era un sindacato sconfitto ma di lotta e riconosciuto dalle masse lavoratrici. Oggi, abbiamo un sindacato concertatore e concertante. D’altra parte, non c’è stata nessuna rivoluzione d’ottobre a cui guardare e dalla quale trarre speranze e la sinistra di classe e comunista si presenta frammentata e in ritardo nei confronti della storia.
Allora, qual è il significato degli avvenimenti del 9 ottobre? Dopo un lungo periodo, prima, di sdoganamento del neofascismo, poi, di riabilitazione di aspetti del ventennio e di alcuni suoi squallidi personaggi, la destra attraversa una caotica fase di ristrutturazione caratterizzata da una lotta senza esclusione di colpi per la conquista della leadership. In questo quadro, va inserito l’assalto squadrista di Forza nuova che, comunque, punta all’inserimento organico dello squadrismo nello scontro politico. È il nuovo volto che assume la strategia della tensione che, in questi decenni, è diventata strategia della paura e dell’odio.
Gli squadristi del Duemila gridano senza pudore alcuno «libertà», una libertà che nulla ha a che fare con quella per cui nella Resistenza sono morti migliaia di antifascisti e di comunisti. Gli squadristi intendono mascherarsi da vittime politiche, giocano a fare gli antisistema e già si intravvedono nei loro fiancheggiatori mediatici, nei polveroni linguistici degli opinionisti le avvisaglie di questa ulteriore ascesa della confusione e della vergogna. Intanto, qualcuno nel governo pensa, per risolvere la situazione, non a sciogliere le organizzazioni fasciste ma a… limitare ulteriormente il diritto di manifestare e di lottare! A questo servono sempre i fascisti, ieri e oggi, in un modo o nell’altro: a togliere libertà.