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C’È RESISTENZA E RESISTENZA

La polemica sulla parificazione tra la Resistenza italiana e la reazione militare ucraina all’invasione della Federazione russa rappresenta sia un ulteriore degrado del linguaggio e delle retoriche mainstream sia un nuovo abbassamento del profilo del “dibattito” culturale e politico. Inoltre, il contesto di propaganda di guerra in cui questo paragone viene sciorinato e lo scatenarsi delle campagne d’odio e delle fobie politiche che lo circondano aggravano la portata del danno e del caos comunicativo. Infatti, da un punto di vista storico e politico, non c’è possibilità di confronto tra Resistenza italiana e guerra in Ucraina. Se invece usiamo la parola “resistenza” in senso retorico, certamente l’Ucraina si difende da un’aggressione, oppone resistenza. Ma, se scendiamo a questo livello, gli esiti potrebbero essere paradossali, perché qualcuno potrebbe considerare “resistenza” anche quella dei nazisti, quando le parti si invertirono e gli eserciti alleati occuparono la Germania. Rimanendo su questo piano, non c’è soluzione, c’è solo una gran confusione sul significato delle parole che si trasforma magicamente in disordine nelle teste (che a molti serve). Allora il senso e la qualità della resistenza devono essere definiti dai contenuti politici e di classe ed è per questo motivo che la Resistenza italiana rappresenta una realtà del tutto diversa.

La Resistenza fu una lotta internazionale. In primo luogo, la Resistenza fu internazionale. Tutti i Paesi, aggrediti dal nazismo germanico, dal fascismo italiano e dall’imperialismo giapponese svilupparono le loro particolari forme di resistenza sia contro gli invasori sia, nella maggior parte dei casi, contro i collaborazionisti, cioè contro i traditori che si vendettero agli eserciti di occupazione. Questo vale per la Jugoslavia contro l’Italia, per l’Unione sovietica contro la Germania, per la Cina contro il Giappone e via elencando.

La Resistenza fece parte di una guerra mondiale. Questa differenza fu dovuta alla dimensione mondiale assunta dal conflitto e, per quanto riguarda l’Italia, la Resistenza iniziò tre anni dopo lo scoppio delle ostilità quando, il 10 luglio 1943, le truppe alleate sbarcarono in Sicilia senza incontrare… resistenza. Così l’impero fascista italico da stato aggressore divenne un povero paese invaso e spartito fra gli alleati e i nazisti. In Ucraina, non c’è – e speriamo non ci sia mai – una guerra mondiale, né tanto meno ricorrono quelle condizioni del tutto originali e irripetibili presenti nell’Italia dal 1943 al 1945.

L’arma atomica e la manipolazione digitale. Il secondo conflitto mondiale fu certamente una guerra totale, come tutte le guerre contemporanee, terribile, devastante, ma del tutto priva di due caratteristiche che rendono impossibile una equiparazione con la guerra attuale: l’arma nucleare e le piattaforme digitali. La bomba atomica fu impiegata dagli USA contro il Giappone quando la guerra in Europa e altrove era terminata. Inoltre, gli stessi armamenti convenzionali hanno raggiunto oggi un potenziale distruttivo allora semplicemente inimmaginabile. Nemmeno era presente nessun mezzo di comunicazione della pervasività e della potenza dei social media. Non c’erano follower di Putin né un cinico Zuckerberg in grado di trasformare l’odio digitale in tanti dollari sonanti. Bisogna poi tener conto che le guerre possono finire, ma gli odi sono ferite aperte che rimangono nel tempo.

La Resistenza combatté contro un nemico straniero. In Italia, l’invasore contro il quale nel 1943 una monarchia codarda e responsabile di venti anni di dittatura scelse di schierarsi non era un ex stato federato. I nazisti non parlavano la lingua italiana, né avevano un territorio condiviso con noi (se non nel medioevo), né un passato comune di cultura e tradizione, né erano presenti, se si fa eccezione dell’Alto Adige (il nome italiano del Tirolo meridionale), minoranze germaniche ed era diversa, se vogliamo considerarla, perfino l’identità religiosa. In Ucraina, si parla correntemente ucraino e russo, il territorio ha fatto parte dello stesso stato sovranazionale (per il quale ha dato il sangue di milioni di morti durante la prima e la seconda guerra mondiale) fino a pochi decenni fa. Sono comuni tra russi e ucraini tradizioni, culture e perfino la nefasta litigiosità “cesaropapista” delle chiese “nazionali” ortodosse.

Esiste uno stato ucraino? La nascita dello stato ucraino è recentissima risalendo al 1991. Esso rimase nell’orbita russa fino al 2004, quando la sua classe dominante, di cui fu espressione la presidenza Yushcenko, per arricchirsi di più, decise di passare nel campo occidentale. Nel frattempo, la NATO, ignorando gli impegni assunti durante la presidenza Gorbaciov sulla base dei quali, in cambio dell’unificazione tedesca, la sua influenza si sarebbe arrestata alla linea Oder-Neisse, assorbì nell’alleanza atlantica Ungheria, Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia, Bulgaria, Romania, i tre staterelli baltici, Slovenia, Croazia, Montenegro, Macedonia del Nord e Albania. Di fronte alla minaccia dell’adesione dell’Ucraina, l’orso russo, accerchiato e ricacciato sempre più indietro, reagì prima con la guerra economica del gas e poi con la guerra senza aggettivi. Lo stato italiano nasce invece nel 1861 e presenta un processo di nation-building e un’identità nazionale del tutto differenti, per quanto non esenti da vistosi limiti. Si tratta di due storie completamente diverse e di due costruzioni statali disetanee, aspetti che da soli basterebbero a scoraggiare anche il solo tentativo di confrontare la nostra Resistenza con l’attuale conflitto. Se poi andiamo a vedere quali sono i componenti di un’identità nazionale ucraina in formazione (a cui Putin con la sua guerra sta dando un bell’impulso) troviamo, tra gli altri, gli scheletri nell’armadio della seconda guerra mondiale durante la quale il nazista Stepan Bandera e i nazionalisti ucraini combatterono a fianco dei tedeschi, massacrarono civili e non mancarono di dare il loro sporco contributo alla shoah. La stessa polizia ausiliaria ucraina rese possibile con la sua collaborazione l’orribile massacro di Babij Jar, oltre 33 mila morti, in gran parte ebrei, passati per le armi e in secondo tempo dissepolti e bruciati per occultare le tracce e le prove dello sterminio. Oggi, in Ucraina, Bandera è un eroe nazionale e Babij Jar, nei pressi di Kiev, è sempre stato ignorato e non è mai diventato un luogo della memoria del popolo ucraino. Se il popolo italiano non ha ancora fatto fino in fondo i conti col suo passato, l’Ucraina non ha nemmeno intrapreso questa strada.

La Resistenza fu contro il nazifascismo. E qui veniamo al cuore della differenza tra la Resistenza italiana e la guerra ucraina: la prima fu contro il nazifascismo e per la conquista di una maggiore giustizia sociale; nella seconda, nazisti, nazionalisti e destre estreme hanno acquistato legittimazione, posti governativi e potere sia nei paesi confinanti, sia in Ucraina, sia in Russia (altro che denazificazione).

Armi ai partigiani? In margine alla polemica resistenziale italo-ucraina, surriscalda alquanto lo speaker’s-corner la questione dell’invio delle armi all’Ucraina, esattamente come – dicono alcuni –  avrebbero fatto gli alleati nella seconda guerra mondiale fornendo a piene mani armi ai partigiani italiani. A parte le piccole differenze che non siamo in guerra contro la Federazione russa, che l’invio di armi rappresenta comunque un atto di guerra e che l’Ucraina non è affatto un paese disarmato, la realtà fu assai lontana da questa inaccettabile distorsione della storia. Infatti, i famosi lanci degli alleati furono effettuati in maniera assai selettiva e limitata cercando di emarginare le formazioni garibaldine comuniste che conducevano la più parte delle operazioni militari. Come dimenticare poi il proclama del generale Alexander che, nella fase più delicata della lotta resistenziale, ordinava ai resistenti di gettare le armi e rintanarsi in casa, dove sarebbero stati scovati, uccisi o deportati? Così, i nostri partigiani le armi se le sono procurate in massima parte disarmando i presidi nemici, le caserme dei regi carabinieri e raccogliendole sul campo di battaglia dopo gli scontri. D’altra parte, non sono certo le armi che sarebbero servite ai nostri partigiani, e che non furono mandate, quelle che chiede oggi Zelensky!

Il ponte tibetano. Non stupisce che, tra gli artefici di questi guazzabugli di parole, ci siano esponenti che un tempo appartenevano alla sinistra, nuova o vecchia, libertaria o autoritaria, pura o ibridata. Alcuni di loro sono solo confusi. Altri invece sono alla ricerca di un ponte tibetano sospeso nel vuoto per compiere gli ultimi passi verso l’altra sponda: l’accettazione integrale della NATO e la famosa “bussola strategica”, il cui nord è rappresentato dalla nuova vocazione imperiale europea, sostenuta da un rapido processo di riarmo. Anche qui, la tradizione non manca: dai socialisti favorevoli al nostro colonialismo straccione agli interventisti democratici, agli infuocati rivoluzionari che si sistemarono alla corte di Mussolini fino ad arrivare ai cantori della guerra in Iraq.

Il comunismo è tutt’altra cosa, in primo luogo, è lotta contro ogni forma di nazionalismo e nazifascismo per e con l’internazionalismo proletario.

Pubblicazione non periodica a cura di ass. culturale Proposta Comunista - Maggiora (NO) - CF e PIVA 91017170035
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