Sale il malcontento per il vertiginoso aumento del prezzo dei carburanti. Come sempre, le casse dello stato aggrediscono i beni essenziali per soddisfare la loro insaziabile fame di denaro. Come sempre lo fanno in questo periodo dell’anno. Come sempre, di fronte a questa rapacità, non tutti sono uguali perché colpisce i lavoratori e le cosiddette fasce deboli della popolazione. Infatti, non solo questi aumenti immiseriscono i già magri bilanci delle famiglie proletarie e peggiorano l’esistenza di quelle in condizione di povertà, ma si configurano come un gigantesco e vigliacco trasferimento di risorse dalle tasche di chi ha poco a quelle di chi continua realizzare ingenti profitti. Infatti, la crescita del prezzo dei carburanti significa un aumento dell’imposizione indiretta il cui peso è inversamente proporzionale al reddito: esattamente il contrario del principio di progressività fiscale contenuto nella costituzione. In poche parole, i redditi delle classi basse pagano molto di più rispetto a quelli medio-alti e alti che, per di più, già godono del conforto di una sistematica evasione fiscale, dell’assenza di controlli, dello sfruttamento del lavoro nero e non mancano di speculare sullo smantellamento dello stato sociale, della sanità, del sistema pensionistico, della scuola e dell’assistenza. Ancora, gli aumenti rappresentano un chiaro ammiccamento a compagnie petrolifere ma anche ad amici, parassiti, pataccari e piccoli speculatori: per voi la prateria è libera, la caccia è aperta, senza regole, e vinca il peggiore. Forse è questo il “merito” di cui si sciacquano la bocca ministri senza lode perché questa è stata la virtù del fascismo: aver ridotto già una volta il Paese in miseria. Esattamente come nel ventennio fascista, questo governo toglie ai poveri per dare ai ricchi. Per il momento, ha messo al posto dei manganelli tutto l’impatto violento di un capitalismo straccione ma non per questo meno ingordo e ripugnante.