La sera del 3 marzo 2016, all’età di 86 anni, è mancato Giuseppe Fusi. Vale! Lo salutiamo con un addio laico, memori e consapevoli di quanto per lui fosse importante il valore della laicità.
Era cresciuto nella palazzina della Torcitura di Borgomanero, dove il padre lavorava nella direzione aziendale. Del mitico fabricòn dal Scirulé, dove hanno gettato sudore e fatica generazioni di donne, fanciulli e operai borgomaneresi, non rimane altro che una cappelletta a suo tempo consacrata. I reparti, alcuni dei quali con coperture a shed di primo Novecento, e la palazzina sono stati demoliti fino all’ultimo mattone per far posto alla Esselunga di Caprotti. Strana convivenza: una minuscola edicola votiva, segno di una devozione passata, e un moderno, gigantesco tempio dei consumi e del profitto, l’unica vera sacralità consentita nell’epoca della globalizzazione. Dunque del fabricòn non c’è più nulla, ma Giuseppe si ricordava tutto, perfino il suono dello “zoccolamento” sul selciato (allora, in pieno fascismo, per quelle operaie non c’erano scarpe, se non nei giorni di festa solenne), crescente e fragoroso all’entrata del turno di lavoro, ma decrescente, che si allontanava e si smorzava all’uscita, alla fine della giornata.
Dopo la guerra, non c’erano più zoccoli a far rumore perché si andava già a lavorare con le scarpe ai piedi, poi in bicicletta, infine in automobile. La classe operaia era cambiata e Giuseppe ha vissuto questa trasformazione dall’interno. Completati gli studi in Ingegneria, è andato alla Bemberg di Gozzano, fornendo all’azienda una specie di consulenza esterna, lavoro che gli permetteva una maggiore libertà di movimento rispetto agli altri dipendenti. Aveva infatti fondato la ATI (Assistenza Tecnica Industriale). Per lavoro, si trovava spesso a viaggiare. Aveva così modo di confrontare le condizioni sociali e le tecnologie dei paesi più sviluppati con quelle italiane e poteva, nei momenti di tempo libero, coltivare la sua grande passione per il collezionismo. Lo entusiasmava qualsiasi oggetto che rivelasse l’intelligenza e, con questa, la moralità profonda dell’essere umano dalle stampe dell’ Encyclopédie dei lumi, alle vecchie lastre fotografiche, dalle quali i ritratti sembrano uscire dal vetro, virare e farsi vivi; dai quadri di Ada Negri, la pittrice operaia di Grignasco, ai giocattoli educativi, di cui aveva allestito una raccolta unica, inestimabile, nella quale brillavano le leggendarie latte Cardini.
Alla Bemberg, nel 1971, la direzione annunciò, con l’avvio di un generale processo di ristrutturazione, 238 licenziamenti. Per la prima volta, anche se qualche avvisaglia c’era già stata nel 1968, gli operai si scrollarono di dosso le pastoie del paternalismo aziendale. La Bemberg – la Santa Bemberg, la chiamavano, e, in effetti per andarci a lavorare ci voleva almeno la raccomandazione del prete – occupava allora duemila operai. Giuseppe Fusi si schierò dalla parte dei lavoratori in lotta. Il 1 dicembre 1971, fu eletto dall’assemblea nella Commissione di studio incaricata di valutare lo stato di crisi aziendale e di prospettare una soluzione che evitasse i licenziamenti. Il 13 dicembre, la Commissione presentò la sua prima relazione all’assemblea, ma tre giorni dopo fu costretta, dall’assoluta chiusura della proprietà, a dichiararsi impossibilitata ad agire e rassegnò le dimissioni. Seguì fino all’anno successivo una lotta durissima, la prima vera lotta operaia, dalla quale sorse il consiglio di fabbrica, un organismo di democrazia e partecipazione di base, che si affiancò alle vecchia commissione interna e alle rappresentanze sindacali aziendali, organi che, in alcuni loro componenti, erano più che corrivi con il padrone. Giuseppe mantenne un comportamento cristallino e coerente e, a marzo a lotta finita, fu lui con Giorgio De Marchi e i delegati del consiglio a produrre un ciclostilato, oggi veramente “storico”, Documentazione. Anni 1971-72. Crisi aziendale e “ristrutturazione” basata sui licenziamenti. Da quel momento, nella zona, tutte le ristrutturazioni furono basate sui licenziamenti.
La Resistenza, che aveva visto scorrere davanti ai suoi occhi di adolescente, era l’alimento principale della sua moralità. Fece parte del Raggruppamento Unitario della Resistenza, dell’ANPI, di cui fu componente del direttivo nella sezione di Borgomanero, e dell’Istituto storico della Resistenza. Infatti, nell’ottobre 1974, nella ricorrenza del XXX della Liberazione, fu tra i fondatori della sede biellese, vercellese e valsesiana dell’Istituto, ospitata dapprima a Borgosesia. Nel 1975, ne ricoprì la carica di primo segretario generale e, negli anni seguenti fino al 1986, fu consigliere e componente del comitato scientifico. Grande amico del comandante Cino Moscatelli, con le carte del quale prese forma il primo corpo documentario dell’Istituto stesso, Giuseppe Fusi conosceva perfettamente i protagonisti della lotta partigiana e dell’antifascismo di cui raccoglieva con scrupolo documenti, testimonianze e tracce di varia umanità. Quando si rievocavano gli anni della guerra nel nostro territorio, parlava di Alessandro Boca, Arrigo Gruppi, Piero Mora, Ercolina Gibin, Pierino Godio, ma anche di Gustavo Colonnetti e decine di altri. Dobbiamo alle sue registrazioni se conserviamo ancora di molti di loro le voci e le narrazioni.
Fu consigliere comunale a Gozzano e tra i fondatori, e poi consigliere, dell’AUSER di Borgomanero, l’associazione promossa nel 1989 dallo SPI-CGIL nazionale.
Gli ultimi anni purtroppo non gli risparmiarono amarezze e dolori. Rimase vicino all’amico Giuseppe Sacco, anche quando, nel settembre 2011, a seguito di una caduta, finì in rianimazione, paralizzato e mantenuto in vita da una macchina per respirare che gli impediva di parlare. Intanto, a causa degli acciacchi e dell’età avanzata, Fusi non poteva più dedicarsi all’attività sportiva, specialmente allo sci fuori pista, che amava particolarmente. Il 1 gennaio 2013, dopo lunga malattia, moriva la moglie Franca Maspes, da cui aveva avuto i due figli, Stefano e Anna.
Attendeva al riordino e al completamento del prezioso patrimonio documentario che aveva accumulato e intratteneva rapporti con una docente dell’Università di Santiago di Compostela che proprio in lui aveva trovato un insostituibile punto di riferimento per gli studi su Pasquale Fornari, un borgomanerese illustre (ovviamente del tutto sconosciuto ai borgomaneresi di oggi) vissuto tra il 1837 e il 1923, vera pietra miliare nella storia dell’educazione dei sordi.
Agli inizi dello scorso anno, Giuseppe fu operato a seguito di una caduta. Da allora non si era mai completamente ripreso nel fisico. Al solito lucido di mente, non nascondeva lo smarrimento di ogni speranza per un miglioramento della situazione politica e del livello di civiltà di questo nostro povero Paese.
Lo abbiamo avuto al nostro fianco nel progetto di Proposta comunista. Ne è stato, per quanto poteva, partecipe. Ci ha incoraggiati e ci ha sostenuti. Ne siamo orgogliosi e ci mancherà.
24 marzo 2016