Quanti migranti morti in mare equivalgono a cinque ricchi avventurieri che si rinchiudono in un batiscafo, poco più grande di una fossa, per profanare la pace dell’immensa bara del Titanic? Qualche decina? Centinaia? Migliaia? Non esiste risposta, così come non c’è misura, né pudore, né “moralità” nella deregulation della comunicazione mediatica, specialmente quando si ha a che fare coi miti di carta o di celluloide ai quali questo sistema si aggrappa con le unghie per perpetuare se stesso e il proprio dominio ideologico. Così si piange e si ciancia in tutto il mondo per l’implosione del Titan, mentre per i poveri che in tutto il mondo scompaiono in mare non c’è voce né umanità. Intanto c’è il dispiegamento eccezionale di mezzi (il cui costo è per ora stimato attorno ai 6, 5 milioni di dollari!) e ci sono le ricerche continuate per giorni, mentre cresceva la canea mediatica, nonostante fosse già abbastanza chiara la sorte del piccolo sottomarino. Al confronto la povertà o l’assenza o l’abolizione dei mezzi per il soccorso dei migranti in mare parla da sé. Intanto c’è la mercificazione della morte. L’immensa tragedia del 1912 viene trasformata in un mercato turistico dell’orrore, in uno spettacolo per pochi, per coloro che in questi decenni di sconvolgimenti sociali hanno preso l’ascensore sociale oppure si sono arricchiti oltre misura, hanno nuotato nei superprofitti, hanno beneficiato al di là di ogni criterio di rendite, di speculazioni e di parassitismo. Come parassita appare la piccola bati-scatoletta subacquea che li contiene e che si nutre del grande cadavere del transatlantico adagiato sul fondo dell’oceano. Intanto si perpetua il mito del tutto falsato dello stesso Titanic che non trasportava solo dame impellicciate e ingioiellate, amanti perduti e orchestrine che suonano incuranti dei gorghi, dei boati e delle acque montanti, ma anche e soprattutto lavoratori del mare e povere famiglie di emigranti, donne, bambini, braccia da lavoro, tutti stipati nei ponti più bassi, negli slum oscuri della luccicante nave del piacere. La tragedia del Titanic fu soprattutto una tragedia di questi proletari che, più di cento anni dopo, diventano carne da spettacolo per i ricchi di oggi. Intanto il neoliberismo perpetua la sua idea malata e devastante di libertà, quella che con la tecnologia e con i soldi, con tanti soldi si può fare tutto e tutto può diventare mercato al di là del bene, del male e della vergogna: sfidare gli abissi o passeggiare nello spazio in un tranquillo week end d’incoscienza, salire su di una Lamborghini e ammazzare qualcuno per una “ragazzata”, mettere un vulcano in miniatura in una delle proprie ville e ridere a crepapelle quando erutta, andare al di là sempre e comunque dei limiti “umani”. Anche nel 1912, in piena Belle Èpoque, incombeva la stessa atmosfera delirante che due anni dopo annegò nella prima guerra mondiale. L’affondamento del Titanic ne fu in qualche misura il preannuncio e il monito. A cosa preluderà l’implosione del Titan?