Ivan Della Mea ci ha lasciati. È morto nel letto di un ospedale di Milano venerdì scorso. Nato a Lucca il 16 ottobre 1940, si era presto trasferito a Milano dove, nel 1962, era stato tra i fondatori del Nuovo Canzoniere Italiano. Ha attraversato l’intera stagione delle grandi lotte degli anni Sessanta, che ricordava come “anni di vita piena , di spettacoli, dischi, discussioni in quella nave dei folli messa insieme da Gianni Bosio”, e Settanta. Interprete sensibile di una sinistra libertaria, lui, toscano di origine, non aveva esitato a cimentarsi con il dialetto milanese, la lingua della classe operaia, del proletariato e delle osterie, in canzoni come “Sent un po’ Gioan te se ricordet”, “La cansun del navili”, “El me gatt”. Alcuni dei suoi brani sono stati la colonna sonora delle lotte di quegli anni e i suoi spettacoli hanno accompagnato il percorso culturale e politico della sinistra e del movimento operaio. Dal 1985, era presidente del mitico Circolo ARCI Corvetto di Milano e, nel 1996, aveva sostituito Franco Coggiola nella direzione del prestigioso Istituto De Martino.
Lo salutiamo col testo di una delle sue canzoni più famose, “O cara moglie”, scritta nel 1969 ma sempre di stretta attualità per chi ogni giorno deve lottare per difendere il posto di lavoro e la propria dignità.
O cara moglie, stasera ti prego,
di’ a mio figlio che vada a dormire
perché le cose che io ho da dire
non sono cose che deve sentire.
Proprio stamane là sul lavoro
con il sorriso del capo-sezione
mi è arrivata la liquidazione
mi han licenziato senza pietà.
E la ragione è perché ho scioperato
per la difesa dei nostri diritti,
per la difesa del mio sindacato,
del mio lavoro, della libertà.
Quando la lotta è di tutti per tutti,
il tuo padrone, vedrai, cederà,
se invece vince è perché i crumiri
gli dan la forza che lui non ha.
Questo si è visto davanti ai cancelli;
noi si chiamava i compagni alla lotta,
ecco: il padrone fa un cenno, una mossa,
e un dopo l’altro cominciano a entrar.
O cara moglie, dovevi vederli
venire avanti curvati e piegati;
e noi gridare: crumiri, venduti,
e loro dritti senza piegar.
Quei poveretti facevano pena,
ma dietro loro, là sul portone
rideva allegro il porco padrone,
l’ho maledetto senza pietà.
O cara moglie, io prima ho sbagliato,
di’ a mio figlio che venga a sentire,
che ha da capire che cosa vuol dire
lottare per la libertà.
[Angelo Vecchi, ?giugno 2009]