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Il colpo di pistolina che ha fatto gorgogliare ancora una volta nella palude dei mass media i nomi dei parlamentari di FdI Andrea Delmastro ed Emanuele Pozzolo segna indubbiamente una svolta nella cultura della destra. Macché Atreju, quali pacifici hobbit! La nuova storia infinita è un revival piuttosto fascistoide di gringo e degli “spaghetti western”. Il maggior partito al governo ha liquidato l’ennesimo episodio di degrado e discredito del sistema politico borghese come un fatto privato, di nessuna rilevanza politica. Già, quando il privato viene stravolto e serve a fare il lifting e a rendere meno maleodorante la rumenta del regime o a “riabilitare” gerarchi e criminali fascisti, va bene. Quando il privato altrui, nell’assoluta mancanza di argomenti, diventa ingrediente della macchina del fango per feroci attacchi personali contro gli avversari, è rilevante ed è sicuramente politico. Quando invece rivela le responsabilità, il vuoto umano e l’essenza profonda di questa destra, viene gettato nel bidone delle magagne individuali. Al contrario, la mini (in tutti i sensi) sparatoria di Rosazza possiede una chiara dimensione politica che accomuna e coinvolge quell’area politica e sociale che va dal neofascismo al leghismo dove trovano audience, amoroso consenso e voti intercambiabili i partiti al governo. In primo luogo, ancora una volta, il fatto di Rosazza mette impietosamente a nudo la degenerazione dei meccanismi di selezione dei politici all’interno dei partiti e nelle istituzioni. Un sistema che si ritiene democratico e che consente a tali personaggi di raggiungere i posti di maggiore responsabilità dello stato è un fatto politico. L’esasperazione securitaria, il culto delle armi, della violenza e della guerra, la difesa a “spada tratta” di poliziotti o secondini che massacrano cittadini affidati alla loro custodia, di bottegai che considerano più importanti le loro merci della vita di un essere umano, le impunità e i privilegi reclamati a grandi urla nonché ostentati a fronte della cancellazione o della mitigazione dei propri illeciti sono fatti politici. Poi, come non intravedere dietro a certi atteggiamenti il modello di un costume aggressivo, arrogante, sprezzante nei confronti delle stesse istituzioni borghesi, provocatorio e rissoso, non alieno da plateali esibizioni pubbliche di pistole e mitragliatori, quale fu quello interpretato da Gianluca Buonanno? Gli schizzi della sua eredità politica nelle terre che furono suoi terreni di caccia elettorale a quanto pare non sono ancora venuti meno.

Sale il malcontento per il vertiginoso aumento del prezzo dei carburanti. Come sempre, le casse dello stato aggrediscono i beni essenziali per soddisfare la loro insaziabile fame di denaro. Come sempre lo fanno in questo periodo dell’anno. Come sempre, di fronte a questa rapacità, non tutti sono uguali perché colpisce i lavoratori e le cosiddette fasce deboli della popolazione.  Infatti, non solo questi aumenti immiseriscono i già magri bilanci delle famiglie proletarie e peggiorano l’esistenza di quelle in condizione di povertà, ma si configurano come un gigantesco e vigliacco trasferimento di risorse dalle tasche di chi ha poco a quelle di chi continua realizzare ingenti profitti. Infatti, la crescita del prezzo dei carburanti significa un aumento dell’imposizione indiretta il cui peso è inversamente proporzionale al reddito: esattamente il contrario del principio di progressività fiscale contenuto nella costituzione. In poche parole, i redditi delle classi basse pagano molto di più rispetto a quelli medio-alti e alti che, per di più, già godono del conforto di una sistematica evasione fiscale, dell’assenza di controlli, dello sfruttamento del lavoro nero e non mancano di speculare sullo smantellamento dello stato sociale, della sanità, del sistema pensionistico, della scuola e dell’assistenza. Ancora, gli aumenti rappresentano un chiaro ammiccamento a compagnie petrolifere ma anche ad amici, parassiti, pataccari e piccoli speculatori: per voi la prateria è libera, la caccia è aperta, senza regole, e vinca il peggiore. Forse è questo il “merito” di cui si sciacquano la bocca ministri senza lode perché questa è stata la virtù del fascismo: aver ridotto già una volta il Paese in miseria. Esattamente come nel ventennio fascista, questo governo toglie ai poveri per dare ai ricchi. Per il momento, ha messo al posto dei manganelli tutto l’impatto violento di un capitalismo straccione ma non per questo meno ingordo e ripugnante.

Quanti migranti morti in mare equivalgono a cinque ricchi avventurieri che si rinchiudono in un batiscafo, poco più grande di una fossa, per profanare la pace dell’immensa bara del Titanic? Qualche decina? Centinaia? Migliaia? Non esiste risposta, così come non c’è misura, né pudore, né “moralità” nella deregulation della comunicazione mediatica, specialmente quando si ha a che fare coi miti di carta o di celluloide ai quali questo sistema si aggrappa con le unghie per perpetuare se stesso e il proprio dominio ideologico. Così si piange e si ciancia in tutto il mondo per l’implosione del Titan, mentre per i poveri che in tutto il mondo scompaiono in mare non c’è voce né umanità. Intanto c’è il dispiegamento eccezionale di mezzi (il cui costo è per ora stimato attorno ai 6, 5 milioni di dollari!) e ci sono le ricerche continuate per giorni, mentre cresceva la canea mediatica, nonostante fosse già abbastanza chiara la sorte del piccolo sottomarino. Al confronto la povertà o l’assenza o l’abolizione dei mezzi per il soccorso dei migranti in mare parla da sé. Intanto c’è la mercificazione della morte. L’immensa tragedia del 1912 viene trasformata in un mercato turistico dell’orrore, in uno spettacolo per pochi, per coloro che in questi decenni di sconvolgimenti sociali hanno preso l’ascensore sociale oppure si sono arricchiti oltre misura, hanno nuotato nei superprofitti, hanno beneficiato al di là di ogni criterio di rendite, di speculazioni e di parassitismo. Come parassita appare la piccola bati-scatoletta subacquea che li contiene e che si nutre del grande cadavere del transatlantico adagiato sul fondo dell’oceano. Intanto si perpetua il mito del tutto falsato dello stesso Titanic che non trasportava solo dame impellicciate e ingioiellate, amanti perduti e orchestrine che suonano incuranti dei gorghi, dei boati e delle acque montanti, ma anche e soprattutto lavoratori del mare e povere famiglie di emigranti, donne, bambini, braccia da lavoro, tutti stipati nei ponti più bassi, negli slum oscuri della luccicante nave del piacere. La tragedia del Titanic fu soprattutto una tragedia di questi proletari che, più di cento anni dopo, diventano carne da spettacolo per i ricchi di oggi. Intanto il neoliberismo perpetua la sua idea malata e devastante di libertà, quella che con la tecnologia e con i soldi, con tanti soldi si può fare tutto e tutto può diventare mercato al di là del bene, del male e della vergogna: sfidare gli abissi o passeggiare nello spazio in un tranquillo week end d’incoscienza, salire su di una Lamborghini e ammazzare qualcuno per una “ragazzata”, mettere un vulcano in miniatura in una delle proprie ville e ridere a crepapelle quando erutta, andare al di là sempre e comunque dei limiti “umani”. Anche nel 1912, in piena Belle Èpoque, incombeva la stessa atmosfera delirante che due anni dopo annegò nella prima guerra mondiale. L’affondamento del Titanic ne fu in qualche misura il preannuncio e il monito. A cosa preluderà l’implosione del Titan?

A chi andrà l’eredità politica di Berlusconi? La sua morte potrebbe comportare una polarizzazione nel campo delle destre con una migrazione piuttosto consistente dall’involucro plastificato ormai malaticcio di FI ai meloniani? Anche se ciò avvenisse, non sarebbe la fine del berlusconismo. La sua stagione esplose nei primi anni Novanta del secolo scorso quando ormai si era definitivamente consumata una sconfitta storica della classe operaia europea. La lotta della FIAT e quella dei minatori inglesi, prolungatasi per un anno, ne furono alcune delle punte più alte, per certi aspetti epiche. Seguirono il dilagare delle politiche neoliberiste, il crollo dei regimi del cosiddetto socialismo reale, da cui trassero origine le attuali sanguinarie oligarchie dell’est europeo, la crisi dell’ordine internazionale uscito dalla seconda guerra mondiale e la rapida liquefazione della sinistra parlamentare italiana. Berlusconi non ebbe alcuna parte in questi esiti, impegnato com’era a riscuotere la sua quota dell’eredità craxiana e a trafficare le basi del proprio impero immobiliare, finanziario e mediatico. Arrivò dopo, per fare affari, quando la battaglia si era conclusa con la schiacciante vittoria di classe della borghesia. L’azione spregiudicata dell’ometto di Arcore, nel grande nulla di fine millennio, mescolò, come spesso è avvenuto nella storia italiana, aspetti di modernizzazione e di inguaribile arretratezza della nostra classe dominante. Tra questi ultimi lo sfacciato disprezzo per le regole, le leggi, la magistratura, l’impianto costituzionale, la promiscuità con alcune delle figure più imbarazzanti della politica internazionale e della società italiana, il tradizionale rozzo anticomunismo, lo sdoganamento del fascismo, il velleitarismo più sfrontato, l’inverecondo culto della personalità (e della chirurgia estetica), la volgarità intellettuale, l’ignoranza promossa a merito, il paternalismo peloso, l’ostentazione tronfia del lusso e dei simboli del potere, l’inciviltà strisciante imbellettata di barzellette e battute ridanciane e via dicendo. Insomma, ha interpretato al “meglio”, aggiornandoli, decorandoli con miti mediatici e adattandoli ai tempi, i caratteri intimi dell’ideologia del nostro capitalismo straccione. Per questo, il berlusconismo non può finire con lui. Il caimano avrà funerali di stato e molti coccodrilli giornalistici e tante lacrime di coccodrillo: il destino spregiudicato di un pregiudicato.

Nella mattinata di ieri un operaio edile di 62 anni è caduto da un ponteggio dall’altezza di cinque-sei metri ed è ricoverato in gravi condizioni. Stava lavorando alla ristrutturazione dell’Istituto tecnico industriale “Giacomo Fauser” di Novara. Si tratta di un altro incidente, un appuntamento col pericolo, se non con la morte, diventato ormai amaro pane quotidiano per i lavoratori, ma si tratta anche di un incidente che svela il punto in cui è giunto l’imbarbarimento e l’attuale degrado dei rapporti di lavoro. In primo luogo, la disgrazia è avvenuta nel settore dell’edilizia, uno dei più rischiosi ma anche uno di quelli maggiormente interessati dallo sfruttamento e dal lavoro nero e irregolare (proprio oggi, un’ispezione dei carabinieri ha portato a denunce in sette cantieri del Verbano, maglia nera in Italia per le morti sul lavoro). In secondo luogo, un uomo di 62 anni, al termine di una vita lavorativa usurante, dovrebbe avere l’umano diritto di godere di una meritata pensione o almeno di non essere sottoposto a mansioni così faticose e rischiose. In terzo luogo, l’infortunio si è verificato presso un ente dello stato dove il riguardo per la persona e il rispetto delle normative dovrebbero essere tali da impedire simili eventi. Viene annunciata proprio per la messa in sicurezza degli edifici scolastici, che versano in condizioni miserevoli per l’incuria e la negligenza delle diverse amministrazioni, una pioggia di denaro. Per il solo Omar è prevista una spesa di tre milioni e 300 mila euro e qualcuno già inneggia al 2023 come «l’anno dei cantieri». Ci chiediamo: «e la sicurezza degli operai che vi lavoreranno?» Le destre hanno costruito parte del loro consenso sulle tematiche securitarie contrapponendo le paure generate dalla crisi e dal degrado della società alla vera sicurezza: quella di lavorare senza essere sfruttati e senza dover morire, quella di essere curati, assistiti in caso di bisogno, di godere del diritto allo studio, di avere un salario o una pensione dignitosi, di poter partecipare e contare nelle decisioni, insomma la sicurezza sociale. Hanno riempito le galere di piccoli spacciatori e i cimiteri di morti sul lavoro.

Accanto a quello di donne, bambini e uomini che fuggono da guerre, fame, crisi economiche e disastri ambientali, si sta ingrossando un altro flusso migratorio: quello dei migranti di partito che sempre più numerosi, dalla Lega e da Forza Italia, cercano sui loro barconi un porto sicuro in Fardelli d’Italia. Quanto drammatica e dolorosa è la posizione dei primi, tanto penosa e buffonesca è la condizione dei secondi. Gaetano Nastri, il leader novarese di FdI, accogliendo con soddisfazione l’ultimo sbarco, quello del consigliere comunale cittadino, l’ex forzitaliota Marco Gambacorta, si è schermito dichiarando di non aver fatto alcuna campagna acquisti. «Insomma arrivano da soli come mosche attratte dal miele» commenta con gentilezza un opinionista on line. Tuttavia, esistono due tipi di mosche: quelle della frutta, che condividono coi moscerini il piacere delle sostanze zuccherine, e quelle domestiche che, con i mosconi e gli scarabei stercorari, prediligono ben altri profumini. A quale delle due categorie appartengano i nuovi arrivati poco importa. Le masse oceaniche che inneggiavano al fascio si sono squagliate nello spazio di poco tempo e, all’atto dell’insurrezione del 25 aprile, ne è rimasto solo qualche rigagnolo maleodorante. Oggi, basta provvedersi di un buon flit antifascista.

La specie umana è per natura nomade e da dove provenissero i primi abitanti dell’Italia poco si sa. Si dice che molti fossero indoeuropei o che gli etruschi venissero dalla Lidia, ma è certo che la penisola fu colonizzata prima dai fenici, semiti, e poi dai greci, senza contare le diverse popolazioni celtiche o galliche che si accomodarono tra le Alpi e il Rubicone. L’imperialismo romano fece dell’Italia la destinazione sia dei provinciali ricchi sia degli schiavi che in gran numero provenivano dal Mediterraneo, dall’Asia, dall’Africa settentrionale e dal nord dell’Europa. Quando l’impero entrò in crisi, arrivarono i cosiddetti barbari, seguiti da longobardi, bizantini, normanni, ungari, franchi, tedeschi, angioini, aragonesi, arabi e, dopo il medioevo, da francesi, spagnoli, svizzeri, lanzichenecchi, turchi, barbareschi, austriaci, ungheresi, croati, africani delle colonie e, con la seconda guerra mondiale, non hanno mancato di lasciare i segni del loro passaggio persino le truppe degli alleati. Tutti, chi più chi meno, hanno generato figli e mescolato il loro DNA, le loro lingue e le loro culture con i residenti. I dominatori si sono uniti con i potenti e i poveri con gli sfruttati. Dove sia l’identità e la purezza etnica dell’Italia di cui tanto si dice non si sa, ma è certo che il nazionalismo e il fascismo di ieri e di oggi hanno raccolto il peggio di questo multicolore passato e di questo grigio presente.

Diffondiamo il comunicato dell'Istituto nazionale Parri:

« In merito alle dichiarazioni del Presidente del Senato Ignazio La Russa l’Istituto nazionale Ferruccio Parri – Rete degli istituti storici della Resistenza e dell’età contemporanea -, per rispetto alla verità storica, dichiara: - L’ attacco partigiano di via Rasella fu un legittimo atto di guerra condotto contro una pattuglia di poliziotti altoatesini appartenenti al terzo battaglione Bozen. - Il Polizeiregiment Bozen comprendeva tre battaglioni, si era formato nel settembre 1943, subito dopo che i Tedeschi, a seguito dell’armistizio, avevano costituito l’Operationszone Alpenvorland, (Zona di Operazione delle Prealpi), che comprendeva le province di Belluno, Trento e Bolzano. - La maggior parte dei suoi membri, a seguito della opzione del 1939, avevano preso la cittadinanza tedesca. - Il battaglione Bozen non era una banda musicale ma un battaglione di polizia armato di pistole mitragliatrici e bombe a mano, che stava ultimando il suo addestramento. - L’età media dei componenti era sui 35 anni (avevano un’età dai 26 ai 42 anni), quindi certamente non delle giovani reclute ma neppure dei semi pensionati. - È bene ricordare che gli altri due battaglioni del reggimento Bozen erano stati subito impiegati in funzione anti-partigiana in Istria e nel Bellunese, dove si erano resi autori di stragi. - Il battaglione oggetto dell’attacco di via Rasella è stato successivamente impiegato in Italia in funzione anti-partigiana. - A seguito dell’attacco i Tedeschi fucilarono alle Fosse Ardeatine 335 fra antifascisti, partigiani, ebrei, detenuti comuni. Le liste furono compilate con l’aiuto della Questura di Roma. L’ordine di fucilazione fu eseguito prima della pubblicazione del comunicato emanato dal comando tedesco della città occupata di Roma alle 22,55 del 24 marzo 1944. - Per tale atto il Questore di Roma, Pietro Caruso, fu condannato a morte dall’Alta Corte di Giustizia per le sanzioni contro il fascismo. La sentenza fu eseguita il 22/9/1944.

Milano, 1 aprile 2023

Il Presidente Paolo Pezzino con tutti gli organi direttivi, i collaboratori e le collaboratrici dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri Rete degli istituti storici della Resistenza e dell’età contemporanea»

EL BLOQUEO VIOLATO: L'AMICIZIA TRA I POPOLI NON HA CONFINI

Pubblichiamo il commento dell'Associazione nazionale di amicizia Italia-Cuba del 24 scorso sul grottesco tentativo degli USA di contrastare l'arrivo dei medici cubani in Calabria:

«Assurda intromissione degli Stati Uniti negli affari interni italiani sul caso dei medici cubani in Calabria.

CATANZARO Gli Stati Uniti hanno chiesto spiegazioni sull’arrivo dei medici cubani in Calabria. A rivelarlo è il “Corriere della Sera” nell’odierna edizione online. Secondo il “Corriere della Sera” la richiesta di chiarimenti è arrivata al presidente della Regione e commissario della sanità calabrese Roberto Occhiuto attraverso il ministero della Salute nel corso della verifica del Tavolo Adduce che si è svolto ieri: la diplomazia statunitense avrebbe evidenziato l’esigenza di capire le modalità di assunzione, a tempo determinato, dei professionisti e la loro retribuzione, in pratica l’esigenza di sapere se il contratto di lavoro fosse stato sottoscritto con l’agenzia cubana “Comercializadora de Servicios medicos cubanos” oppure direttamente con i medici caraibici, temendo che dalla Calabria potesse partire un finanziamento indiretto a Cuba. Il “Corriere della Sera” comunque riporta anche il commento dello stesso Occhiuto: «La preoccupazione degli americani era essenzialmente dovuta all’ipotesi che potesse essere stato superato l’embargo con Cuba. Noi paghiamo i medici cubani per un “arruolamento” di due anni e non la società. La loro retribuzione è di 4.700 euro lordi mensili. I loro curriculum – prosegue Occhiuto – sono stati vagliati dal Consolato italiano a Cuba che li ha esaminati con attenzione, prima di dare il nullaosta al trasferimento temporaneo, in Italia». I rapporti tra il Consolato americano e la Regione Calabria «sono ottimi» e «c’è continuamente uno scambio di idee e rapporti d’amicizia, molto saldi», dice ancora Occhiuto.»

Pubblicazione non periodica a cura di ass. culturale Proposta Comunista - Maggiora (NO) - CF e PIVA 91017170035
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