Giovanna Marini non è più. Molti, in queste ore, l’hanno ricordata per la ballata I treni di Reggio Calabria. Vale la pena di ricostruire i fatti che ispirarono quella canzone.
Nel luglio 1970 iniziò la rivolta di Reggio Calabria causata dalla decisione di porre il capoluogo della regione a Catanzaro. C’erano voluti più di vent’anni perché uno dei pilastri della Costituzione – il decentramento amministrativo – trovasse finalmente applicazione. In ogni caso, dentro la protesta reggina si agitavano molti interessi, non ultimi quelli della malavita e dei fascisti che si posero a capo della ribellione. Furono dieci mesi di sangue, terrorismo, violenza squadrista, assalti alle sedi sindacali e delle sinistre, aggressioni ai compagni, attentati dinamitardi a partire da quello del 22 luglio alla Freccia del Sud che provocò sei morti. Alle porte dell’autunno, quando la rivolta si estese alla provincia, erano già tredici le bombe esplose. Nel febbraio 1971, un’altra deflagrazione colpì l’edificio della Provincia a Catanzaro dove erano stati provvisoriamente collocati gli uffici regionali e lo scoppio di una bomba a mano, scagliata contro il corteo di protesta del 4 febbraio, uccise il muratore socialista Giuseppe Malacaria provocando nove feriti. Intanto, il progetto fascista aveva già passato i confini della Calabria e preso la forma del colpo di stato Borghese, imploso all’ultimo momento nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970.
Il Giorno – e non «la giornata» – della memoria nasce per scelta istituzionale e ha natura diversa dalla memoria di classe, costruzione collettiva e antagonista al potere.
Chi esprime opinioni diverse rischia di imboccare la pericolosa china della criminalizzazione. Ultimi bersagli della potenza di fuoco della moderna macchina del fango sono gli youtuber Barbasofia, GioPizzi, Grieco e Mortebianca, che contano in rete un pubblico di oltre un milione e 200 mila naviganti. Per aver denunciato il massacro senza fine del popolo palestinese, sono stati definiti da “Il Giornale” «l’esercito che tifa per Hamas» e accusati di spargere odio e di instillare «il germe del pregiudizio contro Israele». Con una strizzatina d’occhio intimidatoria, di uno di loro viene anche dato in pasto ai lettori il nome del mestiere, della città in cui vive e del posto in cui lavora: un invito neanche tanto velato a chi di dovere di darsi da fare. Insomma, siamo alle solite vecchie cose di pessimo gusto o di retrogusto antico. “Il popolo d’Italia” fu per tutti gli anni del fascismo pioniere di questa spietata macchina del fango. Sulle sue pagine gli oppositori venivano attaccati sul piano personale, privato e persino intimo, imbrattati di insulti, incriminati con false accuse, sporcati nella loro dignità e spogliati della loro umanità. I manganelli, la polizia politica o quella di stato, il tribunale speciale, il carcere, il confino o il manicomio completavano l’annientamento del malcapitato senza contare che la punizione poteva estendersi a famigliari, conoscenti e amici e colpire beni e lavoro. Dopo il miserevole crollo della dittatura, i partigiani, la classe operaia, molti uomini e donne hanno lottato per rendere questo paese più pulito e giusto. Tuttavia quella disonestà, quell’ignoranza e quella barbarie politica, squallide eredità del fascismo, hanno continuato a essere una subdola e rozza arma nelle mani del potere e delle classi dominanti. Come dimenticare quel sordido apparato di schedature, dossieraggi e depistaggi, ricatti, malafede e falsità, becera propaganda, omertà, occultamenti e insabbiamenti, sceneggiate e montature che si è via via allargato come una macchia nera sulla storia della repubblica? Negli ultimi decenni abbiamo visto il dilagare del “pensiero” unico neoliberista, la concentrazione di giornali, televisioni e mass media, la decadenza culturale e civile del paese e la riduzione della partecipazione politica prima a spettacolo poi a tifoseria, mentre venivano inaridite le vene della controinformazione, della capacità critica della società civile e del giornalismo indipendente e libero. Così oggi i professionisti della provocazione, dopo aver contribuito a costruire gli hooligans della politica, dopo aver urlato a squarciagola dalle curve, chiamano sui loro giornali «tifoso» chi guarda in faccia alla realtà. Loro che sono tifosi del massacro di bambini, donne e civili palestinesi accusano gli altri di spargere odio quando hanno condotto e continuano a istigare volgari campagne d’odio e disinformazione contro gli immigrati, i poveri e gli emarginati, i giovani del reddito di cittadinanza, i precari, i diritti delle minoranze e di tutti e contro qualsiasi forma di opposizione sociale. In poche parole, vogliono imporre il silenzio e, ribaltando il significato della parola, chiamarlo «verità», «libertà di parola» o magari «democrazia».
Uno dei chiodi su cui batte la propaganda governativa è la denuncia della “egemonia culturale della sinistra” e la necessità di porre fine a questa intollerabile situazione. Dunque, in un Paese in cui ignoranza e analfabetismo di ritorno rappresentano una vera e propria emergenza umana, il problema sarebbe l’«egemonia» della cultura della sinistra. Notiamo che il termine «egemonia», usato in questo contesto, rimanda alla teoria di Antonio Gramsci, il primo segretario del Partito Comunista d’Italia assassinato nel 1937 dal fascismo. Non c’è da stupirsi: chi non ha idee ammazza i pensatori e cerca di impedire che i loro cervelli funzionino per poi stravolgerne e falsificarne il pensiero. Infatti, il senso che Gramsci dava all’egemonia era tutt’altro, ma è bene non approfondire l’argomento: si raffredderebbe il chiodo arroventato della propaganda governativa per la quale la parola “sinistra” (che, pare, sia priva del plurale) è uguale a “comunismo” (anche questo senza plurale).
Ora, bisognerebbe capire come possa la presunta massa granitica dei comunisti esprimere una supposta egemonia in un paese in cui tutto il sistema televisivo è concentrato nelle mani di Berlusconi (il cui partito è al governo) e del governo stesso; dove stampa ed editoria sono quasi totalmente sotto il controllo delle destre e dei gruppi economici dominanti; dove il sistema dell’istruzione pubblica è stato devastato e immiserito nella sua funzione fondamentale di fornire un’educazione critica e pluralista; dove la rete e i social sono la giungla della disperazione sociale, dei narcisismi e dei più bassi istinti; dove la società civile boccheggia e si inaridisce; dove non solo manca un partito comunista, ma milioni di lavoratori, immigrati, disoccupati, poveri non hanno difese né rappresentanza politica né voce; dove l’opposizione parlamentare ha da decenni rinnegato ogni richiamo non solo al marxismo ma spesso allo stesso patrimonio sociale e politico di due secoli di storia e di lotte del movimento operaio italiano. Questa opposizione, che gode ancora di qualche stonata voce in capitolo, è caso mai degradata a una sinistra liberal, una marmellata irrancidita, una copia alquanto sbiadita e inopportuna di quella statunitense che, appunto, niente ha mai avuto né vuole spartire col comunismo. Sono le classi dominanti, da sempre, a esprimere la loro egemonia culturale altro che «egemonia della sinistra»! Allora, il gioco di parole è scoperto: scalzare un inesistente dominio della cultura di sinistra altro non è che uno specchietto per le allodole. Il vero obiettivo è quello di stracciare la Carta costituzionale, di passare sopra alle stesse garanzie borghesi, al diritto internazionale e, come dimostra l’ignobile gestione della questione migratoria, alle minime norme di convivenza civile e umanità, di fare a pezzi quello che rimane delle conquiste del movimento operaio sotto il regime repubblicano.
Con l’incalzare dei venti di guerra, il militarismo rialza la testa. Ne abbiamo quotidiana prova con la propaganda bellica a cui sono asserviti mass media e giornalisti embedded, col ritorno di quelle funeste ideologie nazionaliste e imperialiste che già aprirono le porte ai conflitti mondiali del Novecento, con la rivalutazione del ventennio fascista e del nazismo, col rilancio del culto dei corpi dell’esercito, come quello degli Alpini, la cui partecipazione a fianco dei nazisti all’invasione dell’Ucraina e la cui tragedia di Nikolaevka sono stati santificati da una recente legge dello stato democratico, nato dalla Resistenza. Poteva essere di meno l’aeronautica militare italiana, arma letale contro gli innocenti, gli indifesi, le popolazioni civili, l’arma principe del fascismo, fortemente voluta e creata da Mussolini cento anni fa e posta sotto il suo diretto controllo?
Così volano in un cupo cielo di guerra i festeggiamenti del secolo aviatorio e il loro rimbombo richiama alla memoria i sibili delle bombe su Coventry, sopra Dresda, Amburgo e Berlino, sul quartiere romano di San Lorenzo, sopra Milano, Torino e Genova. Su Hiroshima e Nagasaki: tra 150 e 246 mila vittime. Come se tutto ciò non fosse orrore, vengono rispolverati i primati aeronautici dell’ala littoria, tirando fuori dalla naftalina nomi e divise di gerarchi sepolti nella storia, quasi fossero state entusiasmanti gare sportive, acrobatiche e non le prove generali degli imminenti massacri. Vengono magnificati i progressi tecnologici dell’industria aeronautica italiana come se fossero stati espressione di un presunto “genio” italico e non di precisi interessi politici ed economici. Si rispolverano i miti del volo, quelli di Francesco Baracca, perpetuato dal cavallino rampante della Ferrari, oppure del futurismo e di D’Annunzio. Fortune e sfortune: il primo perse la vita, il “vate” invece ci rimise un occhio. Gli aerei da guerra e i piloti militari italiani ebbero anche altri “primati”. Per esempio, furono i primi, nella guerra italo-turca del 1911, a impiegare l’aviazione in operazioni di guerra. Poi vennero le teorie di Giulio Douhet sull’uso dell’aereo contro la popolazione civile per spargere terrore e confusione, la partecipazione al bombardamento di Guernica, il bombardamento di Barcellona (1.300 morti e duemila feriti), l’impiego del “gas mostarda”, l’iprite, in Etiopia, fino a giungere ai Tornado delle guerre dei Balcani e del Golfo. A cento anni dalla creazione da parte del fascismo dell’aviazione militare, il nostro ricordo va alle innumerevoli vittime incolpevoli di questo secolo insanguinato. Il nostro impegno internazionalista rimane per l’unità dei popoli e dei proletari contro la guerra per un cielo senza bombe e senza confini.
«La carica dei 163» titolava nel 2013 un pamphlet de “Il fatto Quotidiano” che spiegava «Chi sono e da dove vengono i parlamentari eletti con il Movimento 5 stelle». Cinque anni dopo, il 7° cavalleggeri pentastellato era diventato un’armata a cavallo con ben 339 tra deputati e senatori. «Apriremo il Parlamento come una scatoletta di tonno», gigionava Beppe Grillo a conferma che i comici in politica, a ovest come a est, non fanno ridere per niente. Infatti, la scatoletta doveva contenere qualcosa di marcio e il puzzo deve aver fatto smarrire i sensi a più di un grilletto. Sta di fatto che l’armata, un disertore dopo l’altro, è andata assottigliandosi fino alla “clamorosa” ritirata del ministro degli Esteri Gigino Di Maio e della sua pattuglietta. Ora, sappiamo chi sono, da dove vengono e anche dove sono andati i parlamentari eletti con il movimento Cinque stelle. Non è un dramma, è una farsa. Come in ogni buffonata che si rispetti, le parti si sono invertite e i nemici giurati dei Cinque stelle sono oggi i supporter entusiasti di quel Gigino che ieri ricoprivano di volgari insulti. Non è un tradimento: chi e che cosa avrebbe mai tradito un movimento che è nato, cresciuto e si è sbandato nella più grossolana confusione politica e ideologica? È un esercizio inutile, e umiliante, elencare gli astronomici dietrofront su questioni come la NATO, il PD, la Lega, la moneta unica, l’Unione ...continua a leggere "IL DISFACIMENTO DEI 339"
La polemica sulla parificazione tra la Resistenza italiana e la reazione militare ucraina all’invasione della Federazione russa rappresenta sia un ulteriore degrado del linguaggio e delle retoriche mainstream sia un nuovo abbassamento del profilo del “dibattito” culturale e politico. Inoltre, il contesto di propaganda di guerra in cui questo paragone viene sciorinato e lo scatenarsi delle campagne d’odio e delle fobie politiche che lo circondano aggravano la portata del danno e del caos comunicativo. Infatti, da un punto di vista storico e politico, non c’è possibilità di confronto tra Resistenza italiana e guerra in Ucraina. Se invece usiamo la parola “resistenza” in senso retorico, certamente l’Ucraina si difende da un’aggressione, oppone resistenza. Ma, se scendiamo a questo livello, gli esiti potrebbero essere paradossali, perché qualcuno potrebbe considerare “resistenza” anche quella dei nazisti, quando le parti si invertirono e gli eserciti alleati occuparono la Germania. Rimanendo su questo piano, non c’è soluzione, c’è solo una gran confusione sul significato delle parole che si trasforma magicamente in disordine nelle teste (che a molti serve). Allora il senso e la qualità della resistenza devono essere definiti dai contenuti politici e di classe ed è per questo motivo che la Resistenza italiana rappresenta una realtà del tutto diversa. ...continua a leggere "C’È RESISTENZA E RESISTENZA"
La giunta di destra della Regione Piemonte ha deciso di propagandare il Giorno del ricordo con un manifesto-locandina che “ricorda” anche le grafiche della repubblica di Salò (un doppio ricordo, dunque): ombre fosche e rosso violento; comunisti armati, enormi e mostruosi con inquietanti stelloni rossi infuocati in testa; piccole, innocenti vittime in… giacca e cravatta che fuggono terrorizzate. La provocazione non è nuova, né originale (ricordate i manifesti elettorali della DC in piena guerra fredda?), era prevedibile e non sarà certamente l’ultima. In realtà, la volgare retorica del manifesto, e la violenta falsificazione storica che porta con sé, sono gli aspetti più appariscenti ma meno importanti di una manovra politica rozza ma ben più ambiziosa i cui obiettivi vanno ben al di là delle polemiche di questi giorni. Per capire meglio, ne ricostruiamo il backstage che vede all’origine due insospettabili espressioni della società civile e dell’attività artistica piemontesi: la Fondazione Circolo dei lettori e l’Anonima fumetti di Torino. Non sappiamo fino a che punto questi due sodalizi siano soddisfatti del loro coinvolgimento in questa squallida vicenda, ma il modo con cui sono stati strumentalizzati dalla giunta regionale di ...continua a leggere "IL GIORNO DEL RICORDO IN UN MANIFESTO VERGOGNOSO"
Non c’è altro da aggiungere. Con l’elezione del Presidente della Repubblica, la parabola della degenerazione del sistema politico italiano ha compiuto un altro passo in discesa. Il dato fondamentale è stato l’incapacità di questo ceto politico di selezionare al suo interno e di candidare una solo faccia minimamente presentabile. Il che, tra l’altro, la dice lunga sul rispetto e sulla fiducia che i parlamentari ripongono nei confronti di se stessi, dei loro colleghi e del loro ruolo. Nei nomi proposti durante gli scrutini alla fine si è trovato un po’ di tutto come in una vecchia soffitta dal tetto squarciato: qualche vecchia cariatide della balena bianca; topi di ministero; sinistri scricchiolii di servizi di sicurezza (nome che, solo al pronunciarlo, evoca alcune tra le pagine più tetre della repubblica); magistrati; avvocati e ministri berlusconiani. Mancava solo, ingiustamente dimenticato, il bibliotecario Giuseppe Garibaldi del film di Claudio Bisio. Il tutto è stato abbondantemente annaffiato da ...continua a leggere "UN ALTRO SPETTACOLO INDECOROSO"
Getta uno schizzo di fango e fuggi. Meglio se in bicicletta. Così si può riassumere la strategia comunicativa di “Striscia”, una delle peggiori armi di distrazione di massa dell’ormai arrugginita corazzata mediatica di Mediaset. Infatti, il «reportage terrificante» di lunedì 17 gennaio sul degrado delle aree industriali dismesse della città di Novara si è risolto, al solito, in uno scoop scandalistico teso ad accrescere la paura e lo schifo che fermentano e gorgogliano nelle “pance” dei telespettatori e ad alimentare strette repressive e domande di vecchie e noiose politiche securitarie. In realtà, le immagini che sono passate sullo schermo non sono certo dissimili né più indigeste di quelle che si potrebbero registrare nelle altre città italiane e da tempo immemorabile. E qui basta andare con la memoria agli anni Settanta, alle stragi dell’eroina che ha maciullato intere generazioni e consentito di accumulare quei capitali che poi le mafie hanno investito nell’economia legale e hanno usato per infettare un sistema politico già ampiamente corrotto. E l’eroina, anche se i media fanno finta di non accorgersene, continua ancora oggi ad ammazzare. D’altra parte, il biscione di Striscia non ha speso una parola sulle cause e sulle radici profonde di questo degrado né sulle pesanti responsabilità politiche e sociali che non possono certo essere caricate sulle spalle di invisibili “pachistani di merda” che si aggirano ...continua a leggere "STRISCIA LA… NOVARA"
Pubblicazione non periodica a cura
di ass. culturale Proposta Comunista - Maggiora (NO) - CF e PIVA 91017170035
Privacy policy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.
Google Fonts è un servizio per visualizzare gli stili dei caratteri di scrittura gestito da Google Ireland Limited e serve ad integrare tali contenuti all’interno delle proprie pagine.